. . . All you life, you were only waiting for this moment to be Free . . . * Nulla enim culpa est in somnis.

venerdì 30 gennaio 2015

Abbraccio

Non ci voleva molto per capire che Barbara non era contenta di essere lì. Si dondolava svogliata sulla sedia. Mangiucchiava la penna. Faceva palline di carta. Sbuffava.
In un momento di massima irritazione, iniziò a lanciare le suddette palline in testa di un poveraccio lì davanti. Quello irritato le lanciò una matita. Questa atterrò senza colpire il bersaglio, sbattendo l'estremità temperata e quella ancora integra, con tale forza che la mina giallo canarino si ruppe e rotolò ai piedi di Barbara, sotto una delle gambe della sedia. Appoggiandosi sopra ad essa, la gamba la polverizzò.
"Venardi".
Barbara mormorò un "alleluia" e si alzò,  facendo stridere la sedia maledetta, che lasciò una scia gialla sul pavimento immacolato.
La ragazza la guardò. Invidiava il pastello: poteva temperarsi, recuperare la parte migliore di sé, tornare a splendere ancora. Lei come poteva fare?
Furono poche domande grazie al cielo, poi la rilasciarono. Lo smog sapeva di libertà.
Corse verso la metro, per un pelo non la perse. Si gettò sul sedile, mise le cuffie bianche e sparò la droga a volume massimo. Una nonnetta lì vicino non apprezzò, quella musica molesta, musica da cattiva ragazza, interrompeva la sua lettura di Hannah Arendt.
Barbara mise in bocca un chewing gum ed iniziò a fare bolle; tirò fuori l'Iphone, la cover rosa confetto, e ticchettò le unghie sullo schermo cercando due o tre cose. Un ragazzo le chiede se aveva un accendino: "Scusa" rispose, "Ma che fumi in metro?". Quello se ne andò.
Giunse la sua fermata, scese. Un anziano le si avvicinò: Barbara posò il cellulare, le cuffie, s
putò la chewing gum, e già che c'era si lisciò anche i leggings.
"Nonno."
Lo abbracciò. Tutto il resto non contava.

Credo che si possa concentrare in poche parole tante sensazioni.
Spero di aver fatto ciò in quest'ultimo testo.
Se così fosse, commentate.
Se così non fosse, idem.
Buonanotte :*
Ivy

martedì 20 gennaio 2015

D'impulso

Fissava il soffitto da un bel po'. Effettivamente da molto. Iniziava a pensare che lo avrebbe bucato con lo sguardo.
Sollevò la testa, guardò la sveglia di SpongeBob. 18.
Tornò sul cuscino. Era presto. Da un altro punto di vista, tardi.
Sollevò meccanicamente la mano, fece toc toc sullo schermo del suo LG. Strizzò gli occhi, la luce bianca era parecchio forte.
Niente.
Ripiombò sul giaciglio. Iniziò a tamburellare in modo fastidioso sul comodino vicino, finché, stufa di se stessa, prese le cuffiette azzurro cielo ed inserì il jack nel cellulare. Azionò la ripetizione casuale, e chiuse gli occhi.
Peggiorò la situazione.
Accettami e vedrai, insieme cresceremo, qualche metro in più ed il cielo toccheremo... per quanto mi riguarda ho già fatto il biglietto, ti prego non lasciarlo accanto ad un sogno in un cassetto... è una semplice canzone, che serve a me per dirti che sei una su un milione...
Strappò via le cuffiette e si sedette. Non scriveva? Bene! Non aveva tempo di aspettare i suoi comodi!
Scese dal letto. I piedi caldi soffrirono il freddo, e costrinsero l'istinto a farli andare sul soffice tappeto vicino.
Si strofinò le braccia. Faceva freschetto in effetti... e a casa non c'era nessuno, poteva schiacciare un pisolino... il piumone sembrava invitante.
NO!
Saltellò da un piede all'altro, fino a raggiungere l'armadio. Sbattè il mignolino contro la gamba del tavolo, facendo anche cadere dei libri, che si sommarono ai vestiti che aveva tolto tornando a casa. Non imprecò nemmeno; non c'era nessuno a sentirla, e i suoi pupazzi non dovevano imparare parolacce.
Guardò senza vedere ogni singolo vestito. Ogni maglioncino, ogni pantalone, ogni foulard. Ogni cosa era legata ad un ricordo preciso, oppure aveva già pianificato di metterla in una certa occasione - e fino ad allora doveva arrivare intonsa, non poteva metterla a caso.
Finito di fantasticare - una felpa scivolò dalla gruccia, interrompendo l'armonia dello scenario - prese il felpone traditore ed un paio di jeans, con i passanti stracciati ed un buco sul ginocchio. Un paio di sneaker, il piumino, una sciarpa di lana.
Chiavi di casa in mano, chiuse tutte le finestre e le luci ed uscì. Però, faceva proprio freddo.
Aveva da poco iniziato a nevicare, ed a terra già c'era la classica poltiglia fangosa che faceva ciap ciap sotto ai piedi. Male, non poteva correre.
Guardò per l'ennesima volta l'orologio. È una pazzia, si diceva, non sai nemmeno se l'orario è corretto, se vuole vederti, se non ha di meglio da fare che vedere te... Per un attimo, pur di convincerla, l'inconscio le ricordò la verifica di storia del giorno successivo; di contro, lei si mise a ripassare date e nozioni sottovoce. Qualcuno passando la guardò come una pazza. Ma chissenefrega.
Svoltò l'angolo, e non vide alcuna corriera. Era arrivata in tempo.
Si sedette sul muretto lì di fronte, tremando più di coraggio che di freddo. Aveva una visuale perfetta, senza farsi notare: bastava vederlo, cinque minuti, non erano molti, nessuno lo avrebbe notato.
In quel momento si avvicinò il mezzo di trasporto. Il cuore cominciò a rotearle come le quattro ruote, che si fermarono appena in tempo, evitando una nonnina che protestò calorosamente.
Lei iniziò a sbattere i piedi contro il muretto. Iniziò a mordersi il labbro, poi sostituito dalle pellicine. Iniziò con l'altra mano a far roteare i capelli.
Lui scese. Salutò un amico con il cinque, un'amica con un cenno. Poi mise le cuffiette e si avviò.
Bene. Visto.
Visibilmente soddisfatta, intimamente delusa, scese dal muretto, mettendo male il piede.
Stavolta imprecò. E lui, quasi fosse riuscito a sentirla, anche attraverso la musica, si girò. Nel riconoscerla sorrise, attraversò la strada e le si parò davanti.
- Giulia! Ciao! - Bacio. Labbra in fiamme. - Che ci fai qui tesoro? Non ci eravamo dati appuntamento alle 21? -
Lei gli si aggrappò al collo, come il koala Ciuffo della Kinder. Al diavolo. - Mi mancavi. -
Buon pomeriggio lettori!
Sembra che la primavera degli ammmori si insinui sotto il gelo di gennaio... Tanta gioia e felicità alle nuove coppiette, ben arrivate!
Ed a voi è dedicato questo racconto, a quando la voglia di vedere qualcuno è tanto forte che nessun ostacolo può fermare una persona...
Un bacione!
La vostra Ivy

domenica 11 gennaio 2015

Je suis Charlie

Cari lettori,
Credo (e spero) che sia quasi offensivo chiedervi se conoscete la vicenda definita dai Mass Media "i tre giorni di terrore di Parigi". Due terroristi, addestrati nello Yemen, con un terzo complice a coprir loro le spalle in un paesello vicino, hanno fatto una strage - ben 12 morti - nella redazione del settimanale di vignette satiriche Charlie Hebdo. Si sono proclamati "vendicatori del Profeta", in quanto Charie Hebdo ha pubblicato vignette contro Maometto. 
I tre ora sono stati uccisi. Come le 12 persone uccise nella redazione, i 4 clienti uccisi in un supermercato ebraico, la poliziotta.
Ora.
Conoscete la mia fede. E sapete che mi schiero contro chiunque bestemmi o insulti la mia religione, e volendo anche quella altrui. 
E Charlie Hebdo ha pesantemente ironizzato su tutte le religioni, cristiana compresa - se non al primo posto.
Lo condannerei senza precedenti. Lui e la sua redazione. Scriverei una di quelle lettere eterne su come io non insulti il loro credo, e dunque loro dovrebbero lasciare in pace il mio. Su come danno un pessimo esempio ai loro figli ed ai loro nipoti, su come sia contraddittorio il loro senso di libertà con le offese che arrecano.
Però.
Però a volte si sceglie il male minore. A volte ci si schiera col proprio nemico per affrontare quello comune. E questo è uno di quei casi.
Anche io, in quanto proprietaria di un blog che esprime la propria opinione liberamente e senza censure, urlo Je Suis Charlie.
Perché non è possibile nel 2015 che 17 persone, 17 civili, 17 innocenti, dei quali più di metà non sapeva nemmeno il motivo di tutto ciò, escano di casa, magari semplicemente borbottando un "ciao" frettoloso, se non incazzato, ai propri cari, e vadano a lavoro, o ancora più innocentemente a fare la spesa - perché il giorno dopo è festa, non si può - e non tornino più a casa perché tre menti malate, guidate da menti altrettanto - se non di più - malate, che finanziano missioni suicide in nome di ... qualcuno, per far tornare il mondo ad uno stato di medioevo perenne, hanno deciso di farli fuori!
Io mi discosto dalle idee di Charlie Hebdo. Ma come i redattori di Charlie, voglio poter dire la mia senza rischiare di dover salutare la mia famiglia ogni giorno come se fosse l'ultimo, e voglio girare per le strade senza guardarmi attorno in modo furtivo, e voglio poter pregare Dio senza pensare che qualcuno potrebbe irritarsi, e voglio accendere il televisore e non vedere turbanti che minacciano la mia Italia!
Perché ora c'è Charlie Hebdo. Ma ci sono state le Torri Gemelle. C'è la Siria, c'è tutto il Medio Oriente.
E domani, cosa ci sarà? Cosa colpiranno?
Molto semplice. Puntano al Vaticano. In un certo senso, casa mia
E il problema è che le manifestazioni silenziose, i messaggi di sostegno, i "Je suis Charlie" su ogni muro, su ogni giornale, su ogni fiocco nero, i minuti di silenzio... Non. Servono. A. Niente.
Siamo incapaci, ma non "inetti", proprio "impossibilitati". Viviamo come se non succederà nulla, pur sapendo che da oggi a domani potrebbe scoppiare una guerra, e tutto ciò che abbiamo potrebbe saltare in aria, e non si sa nemmeno il perché.
Infine. Prima o poi moriremo tutti, giusto? Facciamolo con dignità.
Oggi "Je suis Charlie". Dal 14 gennaio, quando ricominceranno ad offendermi, no.
Diamo libertà di parola a tutti... Ma che tutti soppesino ciò che dicono.
La vostra indignatissima,
Ivy


PS: Ho notato che abbiamo raggiunto uno stupendo " 11.111". Grazie dal profondo del mio (un po' crepato) cuore.

sabato 3 gennaio 2015

La misura della felicità

Penny saltellava da una stanza all'altra, cantando "La bella lavanderina" con voce così stridula da rischiare di rompere i vetri. 
C'era il sole quel giorno, era da tanto che non tornava a salutarla. Per ricambiare il saluto, Penny si sdraiò su un raggio, per terra. Per ricambiare a sua volta, e non venire schiacciato, il raggio le andò sopra, solleticandole lo sguardo.
- Penny, rialzati. - La mamma la osservava di sottecchi, stava stendendo il suo maglioncino azzurro con una mollettina rossa ed una marrone. 
- No - urlò Penny.
La mamma si girò sorpresa. - Penny, ti ho detto di... -
- NO! - urlò di nuovo Penny, si alzò e tolse le due mollettine. - Non mi piacciono rosso e marrone. Le voglio blu, o bianche.
La mamma sorrise a braccia conserte. - Va bene. Mettile tu. -
Penny trotterellò fino alla cucina e prese una sedia. Inarcò la schiena e camminò in modo goffo fino allo stendino; la poggiò lì, vi si arrampicò e prese due mollette, una blu e una bianca, da mettere sul maglioncino. Una, non appena la aprì, si ruppe; l'altra fu messa al centro del maglioncino.
- Uffa - borbottò Penny. Stava per scendere dalla sedia, quando vide l'ombra una bimba sorretta da un uomo, con in mano un aquilone a forma di libro. Non sapeva leggere molto bene, ma ci provò: - Llll...a misss...surr...rra deee...elllllla feee...lllliccc....itttta*. La misura della felicita? -
- Della felicità amore. -
Penny si sedette a gambe incrociate sulla sedia. - Ma mamma, quel libro è un metro di felicità? -
La mamma si inginocchiò di fronte a lei, nasino contro nasino. - No, Penny. Questo è solo un libro. -
- Ma allora come si misura la felicità? Lì te lo spiega? -
- Prova a spiegarlo, ma ognuno ha il suo metro personale. -
- Ah, si? E quale è il mio? -
- Non lo so. Trovalo. -
Penny si fece pensierosa, scese dalla sedia e la riportò in cucina. Poi, sempre pensierosa, gattonò nello sgabuzzino, dove la mamma teneva il materiale per il cucito. Si punse con un ago, si incastrò tra un filo rosa ed uno grigio, dunque trovò un metro giallo da sarta. 
Si sedette a terra, e lo studiò. Col ditino toccò un numerino per uno... - Uno, due, tre, cinque, sei, sette, dieci... No, il dieci sono due numeri! ... Allora cinque, sei, sette, undici, dodici, dieci... Boh... - Si grattò la testa con lo stesso ditino, e iniziò a leggere tutto ciò che non erano numeri. C'era la marca, la scritta "misura per sarti", e... Basta.
- Felicità non c'è - borbottò lei. Ma certo! Quella era la misura per sarti, non quella della felicità.
Ripose a modo suo il metro e andò in cucina. Mamma misurava la farina con la bilancia. La felicità è come la farina? 
Si arrampicò sulla stessa sedia di prima, allungò la mano e... buttò la scatola delle uova. Ops.
Si sbilanciò sul bancone... E seguirono cereali, mestolo, zucchero e limoni, che rotolarono fino... ai piedi della mamma. 
- Penny! Che diamine stai facendo? -
- Prendo la bilancia! - Finalmente ci arrivò, la prese e sorridendo andò in camera sua. Alla mamma non rimase che sospirare e raccogliere il tutto.
Sul tappetino rosa, Penny la osservò. Serviva per pesare. Ma come si pesa la felicità?
Scrisse su un foglio la parola, poi lo mise dentro. Non pesava.
Chiamò la sua bambola Felicita (- Scusa Rebecca, poi tornerai col tuo nome! -) ma le sembrava ancora pochino.
Nel dizionario c'era la parola "Felicità", ma c'era anche "Tristezza", "Dolore", "Lacrime". Non poteva pesare tutto assieme. 
La bilancia non andava bene.
Penny sbuffò, prese Felicita/Rebecca e andò in bagno. Raccolse la bilancia pesapersone e la scosse. La rigirò, premette dei pulsanti ma comunque quella non si trasformò in una misura felicità.
Cambio.
Andò nel cassetto delle medicine e prese il termometro, se lo mise sotto l'ascella ed attese. Lesse: 35.5.
- Magari sono felice solo fino a 36! - Ma poi pensò che quando saltava scuola perché aveva la febbre era comunque felice.
Era impossibile.
Crollò sul pavimento ed iniziò a piangere.
La mamma accorse. - Penny, tesorino mio, che succede? -
- Non sono feliceeee! - piagnucolò la piccola.
La mamma la cullò a sé fino a quando non si calmò. - Va meglio? -
- Si... Mammaaspettastaiinsilenzio! -
Penny appoggiò la manina e l'orecchio al petto della mamma. Tum-tum, tum-tum, tum-tum.
- Mamma... Ho capito! -
- Cosa, tesoro mio? -
- La misura della felicità. È quanto ti batte il cuoricino, vero? -
La mamma le baciò i capelli. - Si piccola mia. Si chiama amore. -


* Non ho letto il libro, questo post non vuole in al

cun modo esserne una trama o una rivisitazione. Era solo uno spunto, un imput. Quando lo leggerò, se vorrete, vi farò una recensione, o una FanFiction.


Buon 2015 miei cari lettori! 
Come va? Spero, come sempre, alla grande!
Io dovrei studiare... Ma è in questi momenti che mi viene l'ispirazione maggiore!
Smaltito il Capodanno?
Anno nuovo, palestra nuova! Smaltire suuu...
Spero che la piccola Penny vi sia piaciuta.
Un bacione immenso,
Ivy