. . . All you life, you were only waiting for this moment to be Free . . . * Nulla enim culpa est in somnis.

venerdì 28 giugno 2013

Welcome summer!

Buonassera vicini d'ombrellone o di scarponi da trekking!
Qui scrive Ivy, abbronzata (ora che il rossore è scemato) e pronta a partire di nuovo!
Ma tranquilli, almeno per un po' starò qui a farvi compagnia. O almeno a farla a quanti di voi non sono in vacanza, fuck the maltempo per intenderci. Ho letto che a Cortina sciano, perciò non so quanto sia estivo il mood generale. Ma basta piangere sulla pioggia caduta, rallegriamoci con un raccontino flash!


Il tramonto sul mare era la cosa più romantica che gli fosse venuta in mente. Eppure, nemmeno quello era bastato.... Accidenti!
Da cinque giorni, Riccardino - per la mamma Dino, per tutto il resto del mondo Ric - stava tentando un approccio amichevole con le nuove turiste russe approdate a Rimini per una vacanza rilassante. Ma non solo non capiva un accidenti di ciò che si dicevano, per di più non riusciva a conquistarle in alcun modo!
Tredici anni e tanta voglia di crescere, Ric faceva il bagnino e l'aiutante nel bagno di famiglia ("Bagno 152 - Da Rivabbella con ammore") ogni maledetta estate, e puntualmente la scuola di beach volley femminile "Fgichduvg Russja" spuntava in massa per godere dei suoi servigi. Ovviamente, beach volley femminile era sinonimo di ragazzette con fisici atletici e visetti graziosi. Ma parlassero almeno inglese, non chiedeva la luna!
Inoltre, ogni volta che sua madre lo coglieva con le mani nel sacco, o meglio nella sabbia, si beccava pure una sonora strigliata. "Il bagno 152 è da anni proprietà della famiglia Rivabbella... bla bla bla... Un po' di contegno davanti agli occhi di mamma tua... bla bla bla... Alla tua età dovresti giocare con le macchinine..." e così via. Perlomeno il padre lo sosteneva! Peccato che nemmeno lui sapesse il russo, anche perché le ragazzine avevano anche un'istruttrice niente male.
"Ricchardo" lo chiamò Aalina, la bionda dodicenne con la quale sedeva su una duna di sabbia dorata creata appositamente per l'occasione.
"Tell me" rispose lui, mimando la bocca. Cosa non si fa per amore!
"It's tarrdi" e indicò l'orologio al polso. In quel momento s'avvicinò Oktyabrina, la sorella dagli occhi verdi. Le mormorò qualcosa in russo, e Aalina salutò con la mano, ancheggiando.
Ric si stese, chiudendo gli occhi, gli avambracci sotto i capelli umidi.
"Anche stavolta è stato un flop, vero?" 
Si risollevò. Un ragazzo dal fisico atletico, gli occhi azzurri e un sorriso accecante come il sole s'accovacciò davanti a lui. Assieme facevano il bello e la bestia.
"Non me ne parlare, fratè. Sono tre anni che ce provo cò 'ste russe, me ne fosse annata bene una!"
"Innanzitutto, non far uscire l'accento romano", disse il fratello facendogli l'occhiolino, "già non ti capiscono se parli italiano! E poi basta russe, provaci con le italiane, come Caterina..." Così dicendo, gli indicò una ragazzina dai capelli scuri, seduta sui gradini dell'ingresso, un po' cicciotta ma con un visetto grazioso. Appena si sentì osservata, questa si girò, arrossendo come il tramonto.
"Non mi prendere in giro" replicò Ric "Sai benissimo che Cate è cotta di te. Se la guardi sviene!"
"Oh, beh, e chi non lo fa?" rise lui. Poi s'alzò e se ne andò.
 
Anche Ric si risollevò, spolverandosi di dosso i granelli. Vide Roberto, il fratello, che parlava con Oktyabrina. Ecco a cosa gli servivano i soldi! Corso di russo!
Mormorando un'imprecazione, si girò a guardare Caterina. Massì, non era tanto male...
S'avvicinò, le mani nelle tasche del costume a pantalone e le infradito che facevano "ciap ciap" sulla passerella in pietra. Si sedette accanto alla coetanea.
"Ciao, Caterina... Come va?"
"Hai finito con Aalina?" chiese lei, mentre tormentava il laccetto del bikini.
"C-come?" 
"Hai capito bene."
"Beh, è russa... Cosa vuoi che capisca io?" e rise.
Lei si girò di scatto. "Ah, è così? Allora che ti sei avvicinato a fare?"
Ric smise. Abbassò lo sguardo. "Scusami, non volevo essere scortese. Volevo solo fare due chiacchiere con te, tutto qui. Non volevo offenderti."
Caterina arrossì di nuovo. "Hai ragione. E' colpa mia, sono stata scortese. E' solo..."

"Solo?"
"Niente" disse lei. Mormorò un sommesso "Ciao", e scomparve correndo.


Due giorni dopo Ric stava ancora pensando a quel breve dialogo. Perché Caterina se l'era presa tanto? Erano cinque anni che lei e la sua famiglia - "amica fidata della famiglia Rivabbella" - affittavano un ombrellone al bagno 152. Eppure non s'era mai comportata così!
Guardando col binocolo verso la spiaggia, piena di bellezze russe, si chiese se Caterina non avesse ragione. Sospirò e tornò a guardare l'acqua. Ma... Quella ragazza... Si stava spingendo sempre più al largo... "Ma è Caterina!" urlò, gettando il binocolo a terra e saltando in acqua. Togliendosi la maglietta, nuotò come se non dovesse esserci domani. Raggiunse la ragazza, e...
"Ma tu nuoti!" le disse, mentre tentava di stare a galla nuotando a cagnolino.
"Certo!" rispose lei, tranquilla.
"Ma... Tu... M'avevi detto che non sapevi nuotare!"
"L'anno scorso!" rise lei, poi tornò seria. "Due anni fa ho fatto un corso di nuoto. Tuttavia... Speravo che tu t'offrissi di insegnarmi. Invece hai mandato Roberto!"

"Che cosa? Tu non eri cotta di lui?"
Caterina, affaticata dal nuotare controcorrente, avvampò. "Veramente, a me piaceva l'altro fratello..."
Riccardino la prese per mano e la issò sulle sue spalle, come se avesse dovuto salvarla. Appena toccarono il fondale, non le lasciò la mano, anzi: guardandola negli occhi, s'avvicinò, e...
"Caterina..."
"Si?"
"..."
"..."
"Ti posso offrire un gelato?"
"Certamente."
Mano nella mano, s'avviarono verso il bar vicino.

"Mariuuuccia, guarda! Oh Padre Pio, finalmente Dino s'è deciso a chiedere un gelato a Rina! Ma ci credi? Sono tre anni che tento di farglielo capire! Robbé, ma quando ti sistemi pure tu? C'è la sorella di Rina, Concetta, ch'è nu babbà!"
"A ma', non rompere!"

Spero d'avervi allietato la serata... Buonanotte!
Ivy

mercoledì 12 giugno 2013

IL MISTERO DEL GATTO PERDUTO

Ma ssalve signori miei!
Scuola finita! Un po' dispiace. Ma solo un po': datemi una settimana e già non avrò più alcun sentimento triste ;D
Sono lieta d'annunciarvi la mia vittoria del premio letterario della mia scuola! Ed ecco a voi il mio testo... Buona lettura!


Le luci del vernissage illuminavano Imperia, quella notte. Un centinaio di ricchi abiti scintillanti sfilavano ordinatamente davanti ai quadri moderni; gli smokings invece troneggiavano attorno al piano bar. Solo una donna chiacchierava allegramente con gli uomini: non eccessivamente bella, capelli biondo cenere abilmente tinti raccolti in un toupet, occhi nocciola tendenti al verde, zigomi pronunciati e naso aquilino. Indossava un vestito turchese ricco di paillette simili ai granelli di zucchero, che le lasciava scoperte le ampie spalle. Completavano la mise vertiginosi tacchi venti dello stesso colore della pochette ed enormi orecchini grigio ghiaccio.
“Per i miei gusti queste vostre mogli perfette sono noiose e basta. Piuttosto, chi mi offre un sigaro?” Un uomo le porse una scatola. “Cubano, ottima scelta. Dicevo…” Un altro le tese l’accendino. Accese, tirò una boccata. “Dicevo, l’arte è affascinante, altrimenti non sarei qui, ma mettersi  a spettegolare sull’artista è disgustoso! Ve l’assicuro, la vostra compagnia è migliore.”
“Non è sposata, vero?” domandò uno dei presenti, divertito.
“Sposata io? Le sembro una persona sopportabile?” Risate diffuse, roche, allegre. “Suvvia, non diciamo sciocchezze. È già tanto se mi sopporta il mio cane.”
“Di cosa si occupa, signora Zuccheni?”
“Oh, niente di particolare. Compro quadri e li cedo al miglior offerente, acquisto appartamenti e li rivendo, grazie all’eredità di una mia vecchia zia. Eh già, Zia Betty m’ha sistemato la vita… L’avessi almeno conosciuta! E poi… Scusatemi.” Tirò fuori il Blackberry urlante. Zittì i Maroon 5 cliccando sul pulsante dalla cornetta verde. “Pronto?” rispose allegra. Poi divenne seria. “Arrivo subito.”
“Signori miei” disse agli uomini, “temo che dovrete continuare senza di me. Il dovere mi chiama! E grazie ancora per il sigaro.” E tacchettando uscì dalla galleria. Con le unghie smaltate di grigio tortora digitò un numero.
Dall’altra parte, un uomo dai capelli scuri, a petto nudo s’allenava a picchiare un punching ball nella piccola palestra che gestiva. Il sudore grondava sulla tartaruga ormai ben definita e sul pavimento scheggiato. I suoi pugni, circondati dai guantoni, facevano oscillare pericolosamente il sacco. Proprio sul più bello il cellulare iniziò a squillare. Con rabbia si tolse i guantoni e li scagliò per terra; poi prese un asciugamano, s’asciugò alla meno peggio, dunque rispose con un “Che c’è?” piuttosto alterato.
“Ehi cavernicolo, m’hanno chiamato dalla Centrale, allarme rosso.”
“Sai che non mi devi disturbare quando m’alleno!”
“Sai che devi essere sempre pronto per le emergenze!” E riattaccò.
L’uomo sbuffò e s’infilò sotto la doccia.

Venti minuti dopo erano al Posto di Polizia del paesello vicino, San Lorenzo Al Mare. I due si salutarono con un cenno.
“Beatrice…” “Diego…”
Erano tornati nelle loro vesti abituali: lei un tallieur leggero con una giacca aperta sulla camicetta candida, lui jeans e giubbotto di pelle.
“Bene” esordì il Commissario, un uomo alto e smilzo con radi capelli. “Finalmente abbiamo un caso serio da assegnarvi!”
“Un morto?” chiese Diego. “Un rapimento, una truffa, una rapina?”
“No, una sparizione!” I due si fecero attenti. “È scomparso… Il gatto della signora Marchese!”
Diego lanciò una colorita imprecazione. Beatrice tuonò: “Un gatto? UN GATTO? Sono dieci anni che lavoriamo qui, siamo gli unici investigatori della zona, mollate i casi seri alla Centrale di Imperia e ci affibbiate UN GATTO?”
Il Commissario era sbiancato. “Si…M-ma è serio… I-il fe-felino è sco-co-comparso da due settimane e…”
“E?”
“…E c’è stata una richiesta di riscatto. Diecimila bigliettoni.”
“Da parte di chi?”
“Non si sa, dovete scoprirlo voi!”
I due si guardarono negli occhi. Poi sospirarono. “E va bene!”
Il Comandante andò ad abbracciarli, successivamente consegnò loro il fascicolo inerente al caso (limitato a una fotocopia della lettera di minacce e a una foto del gatto).
Fuori dalla questura, Beatrice guardò teneramente il compagno. “Adesso mi saluti?”
Diego la baciò. “Questa storia del matrimonio nascosto è più semplice del previsto…”
Salirono in macchina, diretti alla loro casetta sul mare, fuori San Lorenzo, per non destare sospetti.
In pigiama, una tazza di caffè davanti, esaminarono le prove.
“Uhm, il rapinatore dev’essere straniero. ‘Salve siniora, io volio dieccimilla euro in contati entro lunedi matina o suo gato fara bruta finne. Mette in casetta posta di via Cipressa 8 entro ore doddici.’ A meno che non sia un povero marinaio analfabeta.”
“O non sia per depistarci.”
“Anche.” Beatrice guardò la foto del gatto e scoppiò a ridere.  La passò al marito, che rise come lei. Il gatto era nero con macchie bianche, grasso come l’omino Michelin e con un fiocco rosa confetto al collo. “Ci sarà voluta una gru per sollevarlo!” commentò lui.
“Quindi ne dobbiamo dedurre che il nostro rapitore…”
“O la nostra rapinatrice!”
“…O la nostra rapinatrice ha forza da vendere ed un pessimo italiano?”
“Esatto” concluse lui alzandosi dalla sedia di vimini. Ormai fuori albeggiava. “Io direi di fare un sonnellino e poi iniziare le indagini.” Si stiracchiò.
“Buona idea” sbadigliò lei. E andarono a letto.

L’indomani partirono con l’indagine interrogando gli operai stranieri che lavoravano nel cantiere vicino a Villa Buonsole. La maggior parte erano albanesi padri di famiglia, con alibi di ferro: si frequentavano solo tra di loro oppure  rimanevano a casa con le mogli e i pargoletti. Uno di loro però era privo d’alibi: un rumeno giunto in paese da poco, che riusciva a comunicare con gli altri solo in inglese. Cezar infatti era in Italia da poche settimane, poiché aveva perso il suo lavoro in Romania. “Ma io brava persona” diceva “io laureato in Romania, in Italia non conta!”
In ogni caso, i due coniugi continuarono le ricerche: era impossibile condannare un uomo senza prove, specialmente se il poverino in questione non aveva colpe. Quindi chiesero di entrare nella villa: la signora Marchese, vedova da anni, fu ben lieta di accoglierli… per quanto potesse esserlo.
Infatti, dopo la morte del marito alla veneranda età di ottantanove anni, l’unica compagnia rimastale era quella del gatto Cleopatra – per lei Cleo - che coccolava come fosse figlio suo, non avendone avuti.
La casa era enorme, buia a causa delle tende tirate - cosicché il puzzo di chiuso regnava sovrano – e piuttosto sporca – a novantotto anni è difficile fare le pulizie.
La signora Marchese li accolse vestita di nero, pallida come un cadavere; insistette che rimanessero a pranzo. “Credo che le vostre case siano lontane…” mormorò con voce flebile.
Le ricerche partirono dalla camera di Cleo: più linda delle altre, risaltavano un enorme letto a baldacchino con una coperta di velluto rosa e una composizione di ciotole d’argento colme di ogni ben di Dio. “Cucino per lui, io non mangio molto” si giustificò la vecchina.
Beatrice e Diego trovarono più di quanto s’aspettassero: un brick di vino di bassa qualità vuoto, residui di fazzoletti, un foglio di carta in cui era avvolto un chewing gum. Di certo non appartenevano alla signora Marchese: tutti sapevano che era ormai sdentata e di certo non beveva. Per di più si poteva permettere una bottiglia di vino pregiato.
Dovendo sorbirsi la brodaglia di cavoli che la signora aveva amorevolmente preparato, uscirono dalla villa verso le tre del pomeriggio, più spossati per il pranzo che per le indagini. “Adesso che si fa?” chiese Diego accendendosi una sigaretta.
“Si va al supermercato!” rispose Beatrice, togliendogliela di bocca e schiacciandola sotto ai piedi. Diego s’adirò ma non disse nulla: nessuna scenata davanti alla gente.
Il commesso Armando fu molto utile. “Si, circa due settimane fa era venuto uno straniero: non era un turista, si vedeva, anche perché m’ha chiesto un B&B ove alloggiare per una notte. I turisti vengono da Imperia, non passano mai la notte in Paese. Comunque ha comprato solo un brick di vino.” Senza darlo a vedere i detectives esultarono. Ringraziando, si diressero al B&B del paese. La signora Lucia, dopo averli rimpinzati a dovere di dolci, esclamò col suo bel vocione: “Ma si, quell’uomo affascinante! Un po’ grasso devo dire, ma non si vede mai gente nuova qui… Si, ha lasciato il nominativo, ma non so se posso darvelo… Ma suvvia, siete investigatori, si che posso:  aveva un nome buffo…  Muziano Serra. Muziano! Povero bimbo…” Ma non fece in tempo a finire la frase che già Beatrice e Diego s’erano precipitati a Villa Buonsole.
“Signora! Conosce un certo Muziano Serra?” chiesero trafelati per la corsa.
“Muziano… Muziano… L’ho già sentito. Se non sbaglio era un prozio della sorella di…”
“Ancora in vita!” ringhiò Diego.
“Ecco, guardate l’albero genealogico” e li condusse in una stanza con un albero sulla parete, simile a quello di Harry Potter ma fermo. In fondo, un nome impolverato come gli altri ma solitario: Beatrice tese il palmo, levò la polvere e lesse il nome. Muziano Maria Gesualdo Serra, pronipote della Contessa Marchese.
“Attualmente dove abita suo nipote?” domandò Diego. Il mistero era quasi stato risolto, ancora poco e…
“E che ne so!” ribatté la signora.
“Come non lo sa!?!” Diego le stava per saltare addosso dalla rabbia, quando Beatrice s’interpose tra i due. “Signora, ha le Pagine Bianche?” chiese allora Beatrice.
La Contessa le tese una copia del 1997. Un po’ datata.
Quindi i due corsero alle Poste vicine, e nell’elenco telefonico più recente scoprirono che il nipote abitava proprio ad Imperia. Dunque salirono in macchina alla velocità della luce, guidarono a sirene spiegate e smontarono nei pressi d’un appartamentino piuttosto angusto. Pistole alla mano – mai usate ovviamente – si misero ai lati della porta. Al tre, Diego la sfondò.
Sul pavimento si trovava il gatto, acciambellato su un lenzuolo. Muziano dormiva su un divano vicino. Nell’aria, un olezzo di pipì felina.


Incredibile storia accaduta a San Lorenzo Al Mare, piccolo borgo ligure: un uomo rapisce il gatto della ricca bisnonna, con l’intento di sopprimerlo perché, alla morte della signora, tutta l’eredità sarebbe andata al felino, non essendo stato lui citatonel testamento della vedova. Sperando che la nonna morisse di crepacuore alla perdita del gatto, non ha fatto i conti con gli investigatori del luogo, che hanno prontamente fermato l’improvvisato rapitore. Un mistero che è andato avanti per ben due settimane, senza che la vecchina sapesse dove fosse finito il suo gatto, né ricordasse di avere un nipote ancora in vita. Il gatto, visibilmente obeso, è ora ricoverato all’ospedale veterinario di Imperia per una lavanda gastrica: per trasportarlo l’uomo l’aveva infatti ubriacato. I due poliziotti, che a sorpresa erano sposati all’insaputa di tutti, otterranno questo pomeriggio le chiavi del paese. ”

Beh? Che dite, l'ha meritata la vittoria? Commentate!
Kiss ;*
Ivy