. . . All you life, you were only waiting for this moment to be Free . . . * Nulla enim culpa est in somnis.

mercoledì 31 dicembre 2014

Bilancio 2014

Buonasera carissimi lettori,
come va quest'oggi? Spero stiate tutti bene.
La sottoscritta tende alla noia: chi mi conosce bene sa che sono la stacanovista per eccellenza, e le vacanze mi deprimono. Inoltre, mi sono buscata anche l'influenza. Dunque quale momento migliore per scrivervi? 
Ammetto la mia negligenza... L'ultimo post risale a più di un mese fa, wao. Quest'anno v'ho trascurati eh? Tant'è che sono state sollevate provocazioni: perché non lo chiudi?
Ebbene, non si può chiudere il proprio cuore.
Per farvela breve, la scrittura è angoscia. Sofferenza, dolore, ansia. Ed io ora come ora solo felice, perciò non ho ansie da buttare su carta - virtuale e non! - dunque per quale motivo dovrei scrivere?
Ma poi ho pensato. Chi fa i testi? Io. Chi dunque crea la storia? Sempre io.
E se scrivessi qualcosa di felice per una volta non sarebbe gradito?
Forse.
Dunque rieccomi da voi!
Allora. Dal 29 novembre ad oggi ci sono state un po' di feste. Dunque buona festa dell'Immacolata, buona Vigilia, buon Natale e buon Santo Stefano!
Avete apprezzato le strade intasate di gente coi pacchetti? I canti natalizi in ogni dove? Le luci di casa in casa? I Babbi Natale finti? L'odore di Vin Brulé? Dove ci sono stati, i mercatini? La gioia in ogni dove?
Io no.
Quindi auguri! Non mi dilungherò sull'argomento, perché credo che un comico di Zelig sia più bravo di me.
Come siete messi con lo stomaco? Io credo di averlo perso il 27 dicembre (già, ho mangiato di più dopo Natale che il giorno stesso).
Parenti da chiamare? Tavole da sparecchiare? Regali da riciclare? A me è andata bene.
Bando alle ciance! Prossima festa... Capodanno. Ops! Oggi è il 31. Dovrei svegliarmi prima.
Quindi... Bilancio di fine anno!

Quest'anno ve tocca sorbirvelo. Ehhh già.
Non perché sia stato un anno da schifo... Anzi al contrario. In mezzo a tanto pessimismo, ve lo dico, voglio elogiare il 2014. Perché avrà portato un sacco di dolori e dispiaceri, ma è dalla ... "cacca" che nascono i fiori! 
Dunque. E' stato un anno di amicizia, tantissima. Vorrei costruire delle statue alle mie ragazze, che ci sono sempre state anche nei momenti peggiori... E che hanno trasformato giornate normali in giornate stupende.
Per farvi ridere... A gennaio di quest'anno abbiamo realizzato un video per presentare una commedia latina. Io ho fatto la... ahem... cortigiana, con dei tacchi 12 leopardati comprati per l'occasione! (vedi foto) Anche se è andata peggio alla mia amica, che per interpretare al meglio una giovane madre ha finto di partorire il suo gatto, con la complicità di un padre d'eccezione (mio fratello). Un caos infernale, che ha avuto il culmine con la faccia scandalizzata del professore. Non ho ancora osato chiedere il voto.
Oppure... Beh, per il due giugno abbiamo fatto una gita, "scalando" un monte. Fa ridere il fatto che la sfaticata dovevo essere io, pff!, sono arrivata in cima ballando le canzoni di Christina Aguilera. Tuttavia ho persino apprezzato la montagna... (E credetemi, se lo dico io...!) Ringrazio sempre la compagnia migliore, che fa elogiare persino erba e freddo e caprette che fanno ciao.
E' stato un anno di premi, il premio "Fiaba di Natale" di Centa S. Nicolò e quello "Dreams" di Vivimondo srl. Tante emozioni, tante parole. Tanti Grazie.
E' stato un anno di tirocini, grazie al Trento Film Festival e al Centro Servizi Culturali S. Chiara, che mi hanno permesso non solo di apprezzare un lavoro che già adoravo, il mestiere di giornalista, ma di approfondire meglio anche il "dietro le quinte" degli uffici stampa, nonché di conoscere persone stupende, alle quali sono ancora legata.
E' stato un anno di Fede. Sono entrata in contatto per il secondo anno consecutivo con l'universo delle catechiste ed ho conosciuto giovani e (non più) giovani con una fede simile alla mia, e bambini... ahem, ragazzi che stanno costruendo la propria. Per di più ho fatto un passo importante, la Cresima, e mi sento totalmente parte di questa grande famiglia. Senza dimenticare il Grest, occasione stupenda per tornare bimbi fra i bimbi.
E' stato un anno di pioggia - parecchia devo dire, però dopo la pioggia viene l'arcobaleno. Infatti ricordo anche tanti sorrisi, occhioni spalancati e risate a crepapelle, perché è stato anche un anno di tante sorprese, molto belle, che hanno portato gioia in molti cuori. O almeno, così mi piace credere.
E' stato un anno che ho dedicato all'arte, sotto ogni sua forma. In particolare ho provato a scoprire i luoghi più reconditi della mia città, ed ogni qualvolta ho avuto modo di andare in una città nuova l'ho guardata con occhi diversi, cercando non solo l'attrazione che tutti amano, sed etiam il monumento dimenticato dal mondo. Invito a farlo tutti quanti... Si scoprono un sacco di cose girando l'angolo.
E' stato un anno di feste. Mai festeggiato tanto in vita mia! E si, ho fatto male a non farlo prima. Ho imparato che essere la signorina Rottelmeier non sempre è la cosa migliore, e che la musica è la più grande droga che ci sia. Vi auguro di non incontrarmi mai sulle note di David Guetta, potreste rimanere sconvolti a vita!
E' stato un anno, ebbene si, anche di studio e di scuola. Come vi ho scritto nel post precedente, l'ho presa più alla leggera, mi ha dato più soddisfazioni, m'ha persino donato il sorriso. La cultura premia, è il caso di dirlo.
E' stato un anno di coraggio. Mi lodo e mi sbrodo, perché devo dire che ho avuto parecchio coraggio, e non so nemmeno da dove l'ho preso. Ho provato a conoscere gente nuova, a perdonare, a dare acqua agli ubriachi e sostegno ai "feriti", perché le ferite interne sono peggiori di quelle esterne. A volte ho usato male il coraggio, dicendo ciò che pensavo senza esattamente pensarci prima, e ferendo persone che volevo guarire. Almeno posso dire di essere stata sempre sincera, e almeno in questo non ho rimpianti o rimorsi. E ho trovato una persona Speciale. Grazie.
Ho abbracciato un sacco di persone, e sorriso anche quando stavo male, poiché "dobbiamo essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo" (cit. Gandhi), e voglio più abbracci e meno lacrime. "E se anche i baci si potessero mangiare/ ci sarebbe un po' più amore e meno fame" (cit. Modà), nell'attesa ci sono i Baci Perugina, che soddisfano entrambe le richieste.
E' stato un anno di famiglia, ogni tanto difficile da capire - sono pur sempre adolescente diamine! - ma che alla fine si conclude sempre con un abbraccio. Vi voglio bene.
E' stato un anno di canzoni, di scritte colorate, di cuori sui quaderni, di amore e rose e fiori. Di libri e di film, soprattutto film - e di lacrime di gioia e di dolore. E di figuracce al cinema, perché non riesco proprio a non commentare in sala. E ... un bel po' di scuse. Ops!
E' stato un anno purtroppo di tante visite, e per fortuna di tanti risultati negativi. La salute prima di tutto.
E' stato un anno di desideri avverati, di "ma che davvero?" - per citare Cosmopolitan, ed ahimé anche l'ultimo da bimba, a livello legale. Tranquilli, è comunque impossibile eliminare la bambina che è in me! 
Ho imparato tanto.
E ho dato e ricevuto tanta fiducia, per una volta ben riposta.
Dunque ora posso anche fare una considerazione finale: grazie 2014, perché ti aspettavo come un anno di merda, e sei stato un anno meraviglioso.
Ti concluderai malissimo, visto che non posso uscire, ma non tutto il male vien per nuocere, visto che sono riuscita a scrivere un post. Finalmente.
Ora attendo il 2015 carica di allegria. Non possono che migliorare le cose, no?
Buon anno miei cari lettori, e altri 365 di questi giorni. (Un anno per volta, su!)
La vostra (quasi) fedele Ivy

PS: Al solito, mi sono rifiutata di rileggerlo. Se ci sono errori segnalatemeli, sono troppo pigra quest'oggi. Se vi fa schifo, scrivetemelo. Se vi piace, scrivetemelo comunque. Insomma, COMMENTATE!
PS 2: Devo un maxi GRAZIE ad un angelo che veglia si di me e, sono sicura, ha gran parte del merito di questo splendido anno... Ciao Nonna.

sabato 29 novembre 2014

Desiderare, volere, ottenere

Signori, Signore,
la vostra Ivy si fa di nuovo viva!
Tendente al vanto - per una
volta - con l'ometto della
mia vita 
Sono mancata per più di un mese, ne sono consapevole... Ogni giorno mi dicevo "Apri quel blog!", ma come capirete dal mio post ero troppo impegnata a fregarmene del mondo. D'ora in poi, sebbene sembri l'ennesima promessa da marinaio, proverò ad essere più presente.
Allora, NOTIZIONA: ho vinto l'ennesimo premio. (Anche questo perché me ne stavo fregando)
Ho fatto uno splendido viaggio con la mia Famiglia fino a Treviso, per prendere l'attestato di vincita della prima edizione del concorso Beautiful Mind - Dreams! E con esso, rullo di tamburi... La prima vincita in denaro! Spero che sia un punto di partenza per riuscire a fare di questa magnifica attività la mia ragione di vita, anche materialmente.
Vorrei postarvi anche il testo, ma accettando la partecipazione al concorso ho ceduto tutti i miei diritti d'autore. Mi spiace! Se ci sarà un modo per farvelo leggere, ve lo comunicherò.
Intanto accettate una piccola foto ed il post odierno.
Have a good life!

Ivy


Le cose accadono quando smetti di volerle.
Ci vuole un po’ per capirlo, ma una volta capito diviene il mantra fondamentale della vita di una persona.
Come quando perdi una cosa alla quale tenevi tantissimo - e non parlo della canzone Let Her Go, seppur starebbe bene come esempio paradigmatico. 
Ma più di quando perdi, non so, un anello: piangi, ti disperi, imprechi contro il mondo intero, sei nervosa, ti guardi attorno febbrilmente convinta che HA!, sarà proprio nell’angolino che non hai preso in considerazione, quello stesso angolino nel quale non arriva nemmeno il piumino Swiffer. E dopo tre mesi passi alla rassegnazione più totale, ogni tanto lo citi come i nonnetti quando parlano della guerra, “Ti ricordi quel bell'anello, si, si, quello dorato, con le striature argentate… Com’era bello!”, e PUFF!. L’anello ricompare. E la tua gioia è tale che dici a tutti quanti “Hei, ho ritrovato il mio anello, quello perduto! Brindiamo assieme!”. (I più freschi di catechismo leggeranno tra le righe la parabola della pecora smarrita: beh, il povero Luca trascrivendo le parole di Gesù ci aveva azzeccato, l’uomo fa davvero così quando ritrova qualcosa.)
O per citare un altro caso, quando a scuola c’è una verifica importante. Diamine, se è di matematica, e la matematica ti piace, passi tutto il pomeriggio a far esercizi! Peccato che quella verifica, per la legge della non-volontà, ti andrà da schifo. Al contrario, se il giorno prima hai fatto baldoria e hai svolto sì e no un esercizio, e per di più hai deciso che non te ne frega un cappero salato della matematica, come per magia la τΰχη – pardon, la sorte – ti farà avere un 9 da incorniciare.
Oppure quel maglioncino rosso, quello che volevi per la festa di Capodanno! Quello che hai cercato in lungo ed in largo, perché sai che quest’anno il rosso non andava di moda, però a Capodanno ci starebbe divinamente! Peccato che tu li abbia trovati solo con renne, nonnetti con barba e cappello o pupazzi di neve simili a Olaf di Frozen. Finalmente, quando hai trovato un maglioncino semplice, stupendo, costa un po’ troppo ma chi se ne frega, finalmente lo hai trovato!, lo compri, e… Il giorno della festa fai l’ultimo giretto dell’anno per negozi, scopri una piccola boutique che non avevi notato, e ha ben cinque versioni del maglioncino che tanto desideravi. Che per di più costano tutte meno del tuo straccetto.
Vogliamo aggiungere la beffa? Aggiungiamola.
Perché in tutti i miei esempi ho sempre raccontato gli antefatti ed i fatti. Ma ciò che succede dopo?
Eh si, perché una volta che hai ritrovato il tuo anello, lo vorrai sfoggiare. Una volta che hai preso 9, vorrai prenderlo anche la volta successiva. Una volta che hai comprato il tuo maglioncino rosso, vorrai che tutte le tue amiche lo notino e lo apprezzino.
Lo faranno? Lo noteranno? Lo avrai?
No.
Perché?
Perché lo desideri. Ragazzi miei, è questa la fregatura della vita: che se è vero che bisogna tenere alle cose per ottenerle, è anche vero che più te ne freghi, meglio escono.
Perché se inizi a tenere ad una cosa diventi un mostro. Geloso, possessivo, pretenzioso, fuori di senno. La Pazzia dell’Orlando Furioso impersonificata.
Il vero male del mondo è il voler sempre di più (Tutti cercando il van, cfr. OF XII 12, per citare di nuovo l’Ariosto).

Ancora nessuno mi ha interrotta?!? Che strano! Non avete imparato a conoscermi?
Si, mi sto contraddicendo alla grande. Ho sempre detto che nella vita se non si punta in alto non si è nessuno, che l’importante è sempre essere i migliori, che basta crederci e le belle cose arrivano.
Eppure io stessa ho notato che appena desidero una cosa questa scompare.
Potrei modificare il proverbio in “nella vita, come in amor, vince chi fugge”.

Eppure. Eppure.
Come si fugge da ciò che più si brama? È così semplice?
E così come mi sono contraddetta, per assurdo mi ri-contraddico.
Non si può non desiderare la vita. Non si può non comprare il maglioncino rosso perché ce ne sarà uno migliore in un altro negozietto. Non si può non cercare l’anello, solo perché sarà di certo nel luogo dove non guarderò. Non si può non studiare, perché non studiando prenderò 9.
La vita sarà una fregatura, ma se non si colgono i fiori quando sono colorati, se non si sale sul treno quando è fermo, se non si fa il bagno quando si ha a disposizione il mare, la vita solo rimane tale.
Invece dobbiamo lottare coi pugni e coi denti contro noi stessi, e far uscire sempre un sorriso sulle nostre labbra. Dire “Eh, vabbè, c’est la vie” quando succede qualcosa di brutto, perché dietro l’angolo c’è qualcosa che ci aspetta. Quando meno ce lo aspettiamo.
Questa pappardella a cosa è servita? Spero a qualcosa.
Non desiderate le cose. Prendetevele. Con leggerezza.


PS: 10MILA VISUALIZZAZIONI?!? GRAZIE GRAZIE GRAZIE DI CUOREEE <3

lunedì 13 ottobre 2014

Filosofia da supermercato

Giulia era appena uscita di scuola. Diluviava, cosa che l'aveva resa piuttosto intrattabile tutto il giorno.
Questo farebbe presupporre che la rendesse nervosa anche sotto l'ombrello:  invece no. Era calmissima. Pensava.
Il concetto di pensare è piuttosto articolato - cos'è pensare? Pensatori - ah, ironia! - illustri  - per chi poi? Bah - hanno dedicato secoli di ricerche al concetto. Cos'è veramente pensare?
Affidiamoci alla scienza...
...no, non facciamolo. Penso che la scienza sia più relativa della fede - cosa significa relativo?
Sto divagando.
Insomma, Giulia era sotto la pioggia. Come tutti i giorni aveva chiamato i genitori per dire i propri programmi, così da non risultare dispersa in mare - non c'è il mare? Eppure il diluvio stava provocando proprio quello! - dicevo, non voleva passare per dispersa. Dunque decise di nutrirsi. Dura la legge della sopravvivenza.
Andò in un piccolo supermercato. Aveva due euro in tasca, prese un tramezzino preconfezionato. 
Passò dalla sua mente per un picosecondo che stava per inserire nel suo sistema digerente sostanze potenzialmente pericolose, che potevano essere smaltite male, che si sarebbe sentita  male, che la mozzarella era troppo bianca e il pomodoro troppo rosso per non essere stati geneticamente modificati. Ma chissenefrega. Si vive una volta sola, e se il giudizio divino l'avesse voluta far fuori non l'avrebbe certo fatto con un tramezzino potenzialmente cancerogeno.
Nel frattempo,  il piccolo negozietto diffondeva le note delle Vibrazioni:  immensamente Giulia.
- Grazie - borbottò al cielo. Che carino: Sarcina con tutte le ragazze che poteva rompere con canzoni romantiche doveva rompere proprio a lei? In amor vince chi fugge? Aspetta che mi sotterro!
Poi, che canzone ridicola... Sei immensamente Giulia.  E come sennò,  a metà?
A parte il fatto che... esisteva un'immensità? Perché era stato creato il concetto di fine allora? Era forse legato al concetto di temporalità?  Il tempo non esiste, è un'invenzione umana  - invenzione? No, concezione, meglio - ma l'esistenza cos'è?
La sua mente la portava ad una conclusione: parole, parole, parole, soltanto parole per intendere il non intendibile, che facevano da contorno alla spesa che tentava di fare senza successo, perché là fuori diluviava, perché non si può non pensare alla Cai da ultima delle cose, e nemmeno a quella prima, e nemmeno si può evitare di pensare - beati i tibetani se ci riuscivano, perché lei dopo anni di allenamento ancora non era riuscita a zittirsi un attimo!
Che becera filosofia da supermercato.
Pagò, uscì. Un fulmine la fece sobbalzare: lei era situata esattamente tra un albero ed un altro. Non aveva colpito nessuno dei due, non le erano precipitati addosso; giudizio divino approves il tramezzino.
Camminando si bagnava le scarpe. Attorno a lei, le poche intrepide persone che s'azzardavano ad attraversare un posto non coperto correvano come formichine minacciate dall'aspirapolvere. Perché correte?, si chiedeva. Tanto ormai erano bagnati: tanto valeva fare con calma.
Mangiò il funesto tramezzino sotto la pioggia; dopo circa un minuto, era completamente zuppa dal ginocchio in giù. Nel giro di pochi altri secondi, le scarpe iniziarono a fare il caro vecchio "ciap ciap". Calzini au revoir.
Non aveva mai visto un temporale simile. Le strade erano un'unica, gigantesca pozzanghera. Si augurò che non finisse come l'alluvione genovese di qualche giorno prima: potevano pensarci prima, anziché fare in modo che succedesse un disastro.
Finalmente, finito il pranzo, giunse nella maestosa biblioteca della città.
Si sedette in un bancone sul soppalco dalla banchina di vetro: da lì non solo aveva la visuale su tutta la sala principale, ma poteva ben analizzare i meravigliosi stucchi presenti sul soffitto - come le volute poste agli angoli delle arcate corressero ad accarezzare le finestre simili alle vetrate delle chiese, per poi congiungersi a capriate decorate con altri stucchi, dipinte anch'esse di bianco.
Immaginò l'artista che faceva il certosino addobbando ogni foglia con nuovi incavi, senza porre alcun fiore, ma dando l'illusione che tutto il soffitto fosse fiorito. Senza mettere colore, ma colorando il bianco con immagini bucoliche ma eleganti, quasi non fossero monocromatiche.
Insomma, Giulia si sedette. Quant'è difficile commettere un'azione senza pensarne le conseguenze, o almeno il contesto!
Tirò fuori un libro, e lesse.
Oh, non durò molto. Cinque minuti dopo si bloccò.
Come si fa a scrivere "in realtà?"
Cos'è la realtà?  Cosa la non realtà?
La realtà è la verità? Cos'è la verità?
La verità è relativa? Cos'è il relativismo?
Il relativismo è frutto della mente? Cos'è la mente?
Ma la domanda più importante era: ma per quale diamine di motivo doveva sempre porsi 800miliardi di domande e non giungere mai ad una conclusione?
E perché non era rimasta a scuola direttamente?
I pantaloni bruciavano sui polpacci, s'affollavano sulla pelle, l'imprigionavano tra spire gelate.
Era in biblioteca e si preoccupava dei polpacci! Incredibile.
Cosa era credibile?
Doveva smetterla.
Tornò al libro.
Πάντα ρει, tutto scorre.
Anche quelle domande sarebbero passate, così come le risposte che avrebbero condotto ad altre domande e ad altre risposte.
Gli stucchi però sarebbero rimasti. Forse.
Di certo (certezza? Boh) i pantaloni bagnati, grazie al cielo, no.
Tornò alla lettura.

Buongiorno lettori! Ecco a voi la mia bellissima ultima mezz'ora in chiave più o meno filosoficamente contorta.  Domande senza risposta, certo, ma che spero la troveranno nel corso della mia vita.
Altrimenti chissenefrega, morirò felice ma non contenta.
La differenza tra le due cose...?
Ivy ;)

mercoledì 8 ottobre 2014

Icaro

Buon giorno cari lettori!
Si, è quasi mezzanotte, lo so... ma la vita INIZIA ORA!
La smetto. Scusate.
Primo post di ottobre: iniziamo strong!
Besos :*

Colpire, incanalare, colpire.
Respiro. Incanalare. Colpire.
Più forte di prima.
Aida affrontava così la realtà. Colpo dopo colpo. Mischiando lacrime e sudore, dolore e fatica.
Colpiva finché le bende sui palmi non diventavano porpora, la fatica non usciva da ogni poro, le gambe non si spezzavano al suono della sua violenza, irriconoscibile.
Quella volta, peggio delle altre.
La memoria la stava ingannando. Di nuovo. Ricordava quanto era stato vano ogni tentativo di riscatto, come la vita chiedeva sempre il suo tornaconto, diventando strozzina di se stessa.
Un ricordo. Un sorriso.
Quella volta, era toccato ad un sorriso particolarmente bello l'arduo compito di sconfiggere la fortuna.
Un sorriso a braccetto con occhi magnetici, lineamenti decisi e chioma indomita, come il carattere del proprietario. E la sua attitudine al mentire, al tradire, al cercare il proprio guadagno, sosia indiscusso della stessa stronzissima vita. Forse un po' anche di lei.
Colpo. Respiro.
Denti digrignati che risuonano nella sala, vuota.
A terra ancora i cocci dello specchio, rotto... quanto tempo prima? Non sapeva dirlo con certezza. Di certo non era volato, anzi: ogni secondo bruciava di più, ogni minuto affondava la sua brama di sangue nel suo cuore. Povera Aida, impotente tentava di combattere quel cesaricidio; il suo cuore, o quello che ne rimaneva, aveva preso il controllo della mente. Al contrario dell'immaginario collettivo, il cuore è malvagio, la mente è impotente. È la memoria del cuore che frega, non la memoria oggettiva.
Un altro ricordo. Un attimo, un flash. Icaro.
Lui volò in alto, tanto in alto da precipitare. Peccato non fosse donna, si sarebbe immedesimata meglio nel ruolo...
Era sicura di esserne la reincarnazione ultimamente. Anzi, non solo negli ultimi tempi: solo allora ne aveva constatato la consapevolezza, aveva testato in modo oggettivo la cosa. Ma l'aveva sempre saputo.
L'ennesimo colpo le risuonò dentro, le sue mani suonavano il sacco fino alle lacrime.
La verità, semmai essa fosse mai esistita, era che Aida teneva troppo alle cose, alle persone, alla vita. Quasi come se per questo l'animo volesse punirla... Ahi! Ti sei avvicinata alla felicità, torna indietro!
L'ennesimo sorriso irruppe nei suoi pensieri. Prepotente anche nelle menti altrui.
Un sorriso famelico. Simile a quello di lui? No. Peggio. Era la consapevolezza, di nuovo. A volte ritornano.
Ma una nuova consapevolezza, più legata al concetto generale dell'esistenza.
La vera ipocrisia non è esterna, ma interna.
Lei era ipocrita nei confronti di se stessa: ipocrita nel dirsi che non era vero, che poteva migliorare, ipocrita con gli altri sorridendo alla vita e ingoiando il boccone amaro esclamando "e Vabbè!".
Così erano ipocriti anche i suoi parenti, che sorridevano solo quando serviva loro per qualcosa, e gli "amici", anch'essi ipocriti, già, altrimenti non li avrebbe ricordati come tali, e non avrebbe posto le virgolette al loro nome. Tutti convinti di essere un gradino più avanti rispetto a lei, con più esperienza, o più carisma. Sempre qualcosa in più.
Lei era l'eterna seconda.
Poteva fare qualunque cosa per tentare di migliorare, ma seconda era e seconda sarebbe rimasta.
Bugiarda. Ipocrita. Di nuovo.
Tirò un altro pugno. Peggiore dei precedenti, squarciò il bendaggio rudimentale sul suo polso e fece andare a sbattere il sacco contro il muro, lasciando un buco.
In quel momento un uomo muscoloso entrò nella saletta angusta. Chiuse la porta, incrociò le braccia.
- Ti dovresti medicare. -
Lei lo ignorò. Tirò un calcio,  creò un'altra crepa.
- Mi stai distruggendo la palestra. -
- Te la ripago. - Le uscì qualcosa a metà tra un grugnito ed un gemito soffocato; di certo non riconobbe la sua voce.
Lui le aveva tolto anche quella?
A forza, con l'ipocrisia, la menzogna. Elementi sempre presento nella sua vita - probabilmente era lei a coltivarli, ecco perché tanta cattiveria. Forse avrebbe dovuto fare l'attrice... Ipocrita era ipocrita.
Il tradimento? Questa era la sua giusta punizione? Amore malato? Definizione simile ad una bestemmia, tanto le risuonava forte nei timpani.
Anzi, marcio. Come lei e le sue bugie.
Quel pensiero scatenò il mostro che tentava di reprimere da tutto il pomeriggio. In un raptus racchiuse tutta l'energia che riusciva a raccogliere e colpì il sacco. Questo, già vecchio e malandato, si staccò dal soffitto e irruppe nel pavimento scheggiato da anni di sudore.
- Merda. Te lo ripago. -
- Lo hai già detto... -
Si finse noncurante. Si legò i capelli e andò al tapis roulant, attivandolo al massimo della velocità e impostandolo sulla pendenza del Monte Bianco. Un suicidio in condizioni normali, ma lei non era normale. Non più almeno.
Era un'ameba di quello che era stata.
Aveva puntato in alto, simile ad Icaro. Ci aveva provato. Sempre.
Aida, la migliore. In qualcosa, qualunque cosa, che non fosse la stupidità. Utopia a quanto pare.
Aveva studiato per un 100 e lode, ottenendo un 88.
Aveva lavorato per avere quella promozione, e invece l'aveva avuta la segretaria che andava a letto col capo.  (Anche se ci fosse andata lei, non l'avrebbe ottenuta: avrebbe avuto davanti a sé la moglie.)
S'era fatta in quattro per far sopravvivere la sua relazione, e ne aveva ottenuto solo il suo totale annullamento ed abbandono.
Ed in quel momento tentava di fare il tapis roulant al massimo, col risultato che se non fosse arrivato Fabrizio ad toglierle la sicura sarebbe inciampata su se stessa e sarebbe ruzzolata giù.
- Basta. A questo ci tengo. - Tentava d'ironizzare, con sguardo serio.
- A me no? - scherzò Aida.
Gay da generazioni. Ovvio, era l'uomo ideale. Era una forma d'ipocrisia anche quella?
- Smettila. -
Aida lo ignorò. Scese dalla macchinetta infernale e andò a raccogliere la maglia. Le scivolò dalla tasca il cellulare - inutile dirlo, di seconda categoria, che ironia il destino! - e vide la loro foto. Non aveva avuto tempo di toglierla.
- Mi devo comprare un nuovo cellulare. -
Lo scagliò contro lo specchio  ancora integro. Andò in frantumi.
- Inviami il conto a casa. -
Fabrizio la chiamò. Non si voltò.
Non aveva meta. Senza cellulare,  più svestita che coperta, grondante di sudore. Aveva anche i crampi allo stomaco - non sapeva nemmeno uscire con stile, barcollava.
Icaro era precipitato, bruciato dal sole.
La gente iniziò a guardarla male. All'inizio pensava fosse colpa del top striminzito che sembrava un reggiseno, o forse delle sneaker giallo fluo. Solo quando però le guardò, e vide la macchia scarlatta, si ricordò della mano sanguinante e impallidì. La fissò come se si fosse dimenticata anche di aver sempre avuto un arto nella parte destra del corpo. Provò a muoverla, represse un grido. Faceva male.
Proprio come le sue bugie. Fino a che non le guardi non le noti. È quando le scopri che bruciano.
Il sole.
- Signorina - la scrollò un vecchietto sprezzante del pericolo. Aida si guardò attorno: tutti i presenti la stavano fissando.
Lei sbarrò gli occhi, fece un passo indietro. - Io... -
Corse via. Di nuovo, stavolta più consapevole di tutto. Illuminata come il filosofo della grotta platonica. Bagnata dal sole come la canzone di Noemi.
Senza nemmeno volerlo si ritrovò davanti alla casa che aveva ospitato quella specie di amore malsano per troppo tempo,
Le chiavi. Il maglioncino. La mano sana. Grazie al cielo.
Come un'automa aprì il portone. Gettò a terra chiavi e maglione. Atterrarono accanto alle prime gocce di sangue, sul pavimento. Doveva medicarsi.
No. Prima doveva chiudere il cerchio, lasciare un addio a Dedalo prima di perire. D'illuminarsi d'immenso.
L'indomani lui sarebbe passato a prendere le sue cose. Gli avrebbe lasciato un ricordino.
Prese il quadro che le aveva dipinto e lo ruppe sulla sedia che aveva rivestito. Strappò le foto che aveva scattato, le altre le gettò nel camino che aveva pulito maniacalmente. Stracciò tutte le carte che le aveva stampato su come rimanere a dieta, distrusse la tazza che le aveva rinfacciato per tre anni perché troppo "da bambini". Bell'adulto lui.
Gettò i vestiti che le aveva criticato sul terreno, li schiacciò coi libri che le aveva letto ad alta voce "per cultura". Roba pallosa.
Suppellettili, libri, DVD, vestiti, memorie, ricordi, troppe cose sue, dovevano essere rimosse per poter sopravvivere.
Icaro avrebbe inforcato gli occhiali da sole stavolta.
Infine prese il suo cuore. Lo portò sul letto. Lì si sentì mancare.
Svenne.
Icaro volava via.

Dubbi?  Sulla mia sanità mentale ovvio!
Scherzi a parte, vi è piaciuto? Attendo commenti :*
Vestra, Ivy

lunedì 29 settembre 2014

Mi scappa un'idea: il Valore delle cose

Cari i miei signori, buonasssera!

Come va? Spero stiate bene. Mi piace immaginarvi mentre leggete la posta, sul divano con lo smartphone in mano e gli occhiali sul naso, e ops!, compare la mail di Blogger che v'annuncia che la vostra CARISSIMA Ivy ha scritto un'altra cazz... OH, niente parolacce, stupidata delle sue.
Allora la guardate direttamente da lì, oppure - opzione per i più affezionati - entrate sul blog, per donare la vostra visualizzazione alla GIUSTISSIMA CAUSA che porto avanti: il mio egoistico diletto nel vedere che il mio blog vi piace.
Almeno, spero sia così. Se così non fosse, fareste parte della categoria di lettori che non solo legge l'aggiornamento direttamente dalla mail, ma una volta letto dice "bom, ottimo" e chiude la suddetta senza pensare che alla sottoscritta - un po' cretina forse - un commentino farebbe piacere. Anche per insultarmi, sarebbe qualcosa di diverso, una critica costruttiva (o un modo per iniziare una bella rissa online... Scherzi a parte. Vi verrei a cercare fino a casa.)
Coooooomunque. Torniamo alle cose (poco) serie. Anzi, iniziamo con esse, visto che in 30 righe ancora non mi sono degnata di iniziare codesto cavolo di post.
Tutto... (tutto che?, direte voi. Siete peggio dei lettori di Pinocchio. Pazienza, su!)
Tutto ebbe inizio una soleggiata mattinata di settembre. Tre amiche pazientavano che il professore la finisse di blaterare roba contorta e le lasciasse uscire, verso quel cielo limpido che fissavano languidamente da... Circa 44 minuti (aveva fatto un minuto di ritardo).
Scrivendo chine come monaci amanuensi gli ultimi 5 minuti di pseudo-lezione, nei quali aveva deciso che era troppo divertente torturare gli studenti per rinunciarvicisi anche quel giorno, finalmente le loro mani gettarono le penne come si può gettare la spugna, non appena captarono il dolce e soave suono del campanello di fine dì.
Zaini in spalla (due, perché la terza si ostinava ad usare borse extralarge), le tre moschettiere partivano alla volta del fast food più vicino; nel quale, una volta sedute ed una volta ordinato il loro lauto pasto (sgomitando ed imprecando contro la nonnetta tedesca che viene in Italia senza sapere un fico della lingua italiana e che blocca la fila perché non si sa esprimere), iniziarono a parlare di problemi di cuore e varie ed eventuali.
Finito lo pseudo-cibo - davvero doveva importar loro cosa avevano mangiato? Era buono, punto - si accomodarono su una panchina, e discorrevano di giovanil argomenti, lasciandosi nel frattempo bagnare dal sole (cit. Noemi©). Dopodiché baci, baci, bus e casuccia bella.
Cosa avete capito di tutto ciò? NULLA. Ivy non è impazzita, state tranquilli (cioé, potremmo parlarne, ma in questo post ho post-o troppe parentesi, basta così). (Notate il gioco di parole post/posto! Io lo trovo geniale).
Detto ciò, dicevo, posso giungere alla seconda parte di questo pseudo-testo (la parola del giorno è PSEUDO! Applauso *clap clap clap*). Giunte a casa le tre avevano prontamente aperto Whatsapp, non sia mai che si perdano quanti pezzi di pasta stava mangiando l'amica in quel frangente. Ritornando sullo splendido pomeriggio di cazzegg... Di nullafacenza, affermavano che "è stato bello", "da rifare" e, cosa che fece scattare il DINNNG tipo orribile notifica dell'Iphone nella testa di colei che sta scrivendo adesso (aka Ivy aka Io), "non da fare tutti i giorni, sennò poi diventa un'abitudine, mentre le cose belle devono essere gustate e desiderate".
Ed ecco il punto! Lo so, l'ho presa larga, ma dovevate cogliere gli step, dovevate avere la pelle d'oca.
Il valore delle cose.
Stavate aspettando questo momento da quando avete letto il titolo del post, eh? Sempre che l'abbiate letto. A me per dire piace inoltrarmi nella giungla delle parole, e poi vedere in che territorio sono. (Leggo di getto - non leggo il titolo).
Il Valore delle cose. Lo metto maiuscolo cavoli, perché oggi mi sento ribelle, e se i filosofi possono mettere Bene, Virtù, Acqua, Fuoco, Arché o chessoio maiuscole, io posso sottolineare il valore della parola Valore con una super V (ma che non sta per vendetta).
Si beh, mi stavo lavando i capelli e, con la testa sotto l'acqua, non avevo modo di bloccare il flusso di pensieri che scorreva assieme all'H2O nella e sulla mia capoccia dura. E ho avuto la rivelazione: cosa scrivere sull'argomento Valore delle cose! Perciò ho finito in fretta e furia e ho scritto all'amica della citazione (come potete vedere dalla STUPENDA immagine/screen): MI SCAPPA UN'IDEA! E dovevo bloccarla, metterla su carta, o meglio online.
Only miss the sun when it starts to snow/ Only know your love when you let her go cantava Passenger. Si capisce il Valore delle cose solo quando si perdono, o comunque si stanno per perdere. O quando non sono scontate, vengono dal cuore, o da una sorpresa, che sia del destino o del superenalotto.
Un abbraccio della mamma mentre stai studiando.
Il papà che ripara i tuoi danni con l'Attack.
Il fratellino che entra in camera tua con la musica tamarra apppallla, ma che almeno t'ha pensato per ballare assieme.
Lo sconosciuto che ti sorride per strada quando hai fatto una gaffe, o l'autista dell'autobus che vedendoti arrivare correndo t'aspetta per qualche secondo, per poi esclamare "Respira!".
L'amica che ti scrive il buongiorno e la buonanotte, che s'interessa a ciò che fai, che anche se hai mangiato pasta al pomodoro - niente di più banale alla fin fine - scrive "Buona!" e mette un cuore rosso.
Piccole cose da condividere col mondo, per renderlo migliore e rallegrare la giornata a qualcuno.
E a me è venuto spontaneo condividere questo pensiero, che fa molto da Facebook in realtà, con voi, che ormai siete un po' miei amici. E questo non è da Facebook.
Per concludere quest'accozzaglia di pensieri senza senso ma con un file rouge che li collega, vorrei salutare le due moschettiere (Sarah e Anna) che m'hanno ispirato il modo per non aprire subito il quaderno di filosofia. CIAO!
[Prof, spero che le capiti di leggere questo post e che abbia pietà di me. Sono troppo filosofa per studiare filosofia: la filosofia si pratica, non si legge.]

Buoanotte, bacioni!
La vostra Ivy, un po' fusa forse ma sempre #strong

sabato 27 settembre 2014

It's time

Buon pomeriggio miei cari lettori!
Ho visto uno stupendo 9470 sul contatore delle visualizzazioni: graziegraziegrazie, 9470 volte grazie!
Detto ciò, oggi davanti ad Orazio non ho potuto astenermi dall'immaginare di finire tutto ciò...
E beh, temo che l'anno prossimo m'iscriverò al Centro di Igiene Mentale.
Have a good reading!

La musica le rimbombava nel petto, facendo a gara col cuore. Gocce di sudore scorrevano fino alla scollatura, distogliendo per una frazione di secondo l'attenzione dal sorriso luminoso che irradiava gioia nel mondo.
Sciolse i capelli e tolse il maglione, rimanendo in canotta. I muscoli definiti scattarono, ritmarono il pavimento con affondi e balzi, agitavano le braccia come fronde degli alberi col vento, degno rappresentante delle note nelle sue orecchie. Piroettava sul piede maciullato, alternando il classico ed il moderno, prendendo da entrambi il meglio. Simile ai fotogrammi nella tv, scattava da un'espressione all'altra, senza però uscire dall'armonia che l'avvolgeva.
Salì sul banco di fronte a lei, calpestò scritte sbiadite, problemi forse ormai risolti, forse ancora persistenti. Scalciò un quattro, lanciò in aria un nove, baciò un dieci cullandolo tra le sue braccia.
Uscì da quell'aula che ormai era più una casa. Rubò una scopa al bidello che le fece perdere tanto tempo con avvisi inesistenti, la capovolse e scrisse frasi incomprensibili sul marmo consunto dal tempo. Poggiò il fedele compagno di danze al muro e scivolò fino alla fine del corridoio, e giù per il corrimano, atterrando tra una scala e l'altra e scendendo la rampa ancheggiando a ritmo.
Si tolse dal reggiseno il bigliettino di matematica e lo stracciò; i pezzettini atterrarono lievi sugli scalini lucidati da anni di Converse nuove di paghetta.
Alla fine trovò loro. La sua stupenda classe, che di classe non aveva proprio nulla, se non l'arte di decorare in modo kitsch un ambiente tanto austero e l'abilità di passare lo stesso compito a venti persone senza farsi beccare.
Con alcuni aveva fatto a botte, con altri aveva parlato solo di scuola; c'erano le migliori amiche, l'ex, quella stronza coi suoi stessi sogni, quella ragazzetta timida col carattere represso dal rigore dei genitori. Erano partiti da bambini, convinti che il liceo fosse più uno status symbol che una scuola, pensando che bastava studiare quanto alle medie e che la buona volontà sia la risposta a tutto.
Ora gli sguardi persi erano diventati stanchi, con in sottofondo la determinazione dovuta al riprendersi il futuro, pronti a sbattersi sui libri altri cinque anni, puntando al Giardino dell'Eden, ad essere i primi. Avevano collezionato lacrime e respirato tante di quelle difficoltà da riscrivere la Divina Commedia, ma se qualcuno avesse nominato loro Dante in quel frangente sarebbe finita male. 
S'erano fatti forza l'un l'altro quando mancavano cinque minuti al suono della campanella e l'omino alla cattedra iniziava un nuovo capitolo, si erano insultati quando la timida studiosa aveva ricordato quel compito lungo come la via Appia, che per il medesimo motivo avevano cancellato dal diario senza nemmeno aprir libro. Lo stesso diario custode di segreti invisibili, dediche immutate nel tempo, lacrime e sorrisi, quel giorno nel quale ci fu quell'incontro meraviglioso e quello nel quale quello si prese un voto più alto di quanto avesse meritato, accanto alla caricatura del preside.

Era il momento di dividere le proprie vie. 
In che modo?, era la domanda muta tatuata sulle mani strette a formare una catena umana.
Con quest'animo s'apprestarono ad uscire, per l'ultima volta assieme, da quell'edificio, con alle orecchie It's Time degli Imagine Dragons: così diversa dalla What Time Is It? che sancì la fine delle medie, quando s'imitava il ciuffo di Zac Efron per essere fighi.
Niente più mimesis da quel momento in poi: ognuno col suo stile, ognuno con la sua mente. Era forse questo il grande come?
O era forse scritto nei loro cuori, dove avevano riposto il dolore della separazione, accanto alla gioia del loro legame?
Dovevano cercarlo sul fondo delle bottiglie di birra che avrebbero usato per festeggiare? O su quello del caffè che avrebbero preso la prima ora all'Università?
La lotta con la vita era all'inizio del terzo round, il pubblico si stava definendo, ognuno aveva scelto le proprie armi e pulito il proprio ring. Era ora di mettere k.o. gli ostacoli, lasciando le lacrime a far colare il trucco, brillando sopra i sorrisi a fatica conquistati.

Fuori dal liceo non c'era alcun pubblico ad acclamarli, né medaglie da appendere al collo.
Non c'era il diploma già stampato, né un falò di libri sui quali s'erano uccisi per cinque eterni anni.
Non c'erano fantasmi di persone che se n'erano andate, né ologrammi di chi li avrebbe attesi.
Sapevano solo una cosa: che quella loro compagna, che con coraggio aveva organizzato quell'harlem shake da mettere su Youtube per pubblicizzare la loro tanto amata, odiatissima scuola, radunando un'ultima volta quei ragazzi già proiettati verso il domani, aveva colto l'essenza della loro età: volate via, affrontate tutto cantando e gioendo, carpe diem.

Buona serata a tutti! 
Ivy :* 

Ps: mi sono accorta che questo è il 100° articolo ** Have fun!

martedì 23 settembre 2014

Buio

Silenzio assordante.
Non si vede nulla.
Avanza, un passo, poi un altro. Apre gli occhi, li chiude.
Stessa cosa.
Ignoto e mistero s'intrecciano mentre continua ad avanzare. Il timore dell'oblio racchiuso nel suo petto che s'alza e scende, come se avesse finito di correre da poco. Invece cammina, non fa altro da... Quanto? Non saprebbe dirlo con esattezza. Da un po' suppone.
Si limita a camminare, a lottare contro il freddo che le ha rubato le mani e contro il caldo che s'è impossessato della sua gote, contro quel corpo che non è più suo.
Ma la mente? Dov'è finita? Sono metri che non la sente. O ha percorso solo qualche centimetro?
Non lo sa, non lo sa, non sa più nemmeno chi è. Si aggira fendendo l'aria, sempre che sulla Terra si trovi, non sente più i suoi pensieri, odori, sapori, non sente nulla.
Ed è peggio del sentire urla di dolore, peggio della carne che si lacera.
Si ferma. Crede di sentire il respiro che si condensa in nuvolette, difficile dirlo senza poter vedere nulla. 
Si trova all'aperto? In una stanza?
Ricorda molto la selva oscura dantesca. Lo struggimento che prova è il medesimo. La paura cieca, e non solo in modo figurato. Virgilio? Beatrice? Una guida?

Facendosi coraggio ripete i versi: Ed una lupa, che di tutte brame / sembiava carca ne la sua magrezza, /e molte genti fé già viver grame, 
questa mi porse tanto di gravezza / con la paura ch’uscia di sua vista, / ch’io perdei la speranza de l’altezza. (Inf. I, 49-54) Forse si stava avviando verso il monte della salvezza - salvezza da cosa? Dalla sua vita, dai fallimenti, dalla felicità terrena? Stava andando a cercare una vita migliore, o stava per percorrere la via della perdizione, destino di infelicità eterna?
Il cuore, sente il cuore battere, le batte nelle orecchie, nel collo, il battito si propaga dentro il suo corpo, o forse esce fuori non lo sa, non sa.
Una luce! Vede una luce, corre verso essa. Però è così piccola, e si allontana sempre di più... 
Un'allucinazione?
Si ferma, basta. 
Flette le ginocchia, si getta a terra. Solo ora prova a respirare, a togliere la morsa che stringe le sue membra tirate allo spasmo; affonda le dita nel terreno. Sembra umido, simile a terriccio... S'insinua sotto le unghie come fanghiglia, sostituendo la paura, lasciando posto a... Rassegnazione? Sì, crede sia quella.
Si lascia cascare mollemente. E se fosse un bosco? No, non ha incontrato alberi, e non c'è odore di natura, no, è tutto così asettico... Fa freddo, caldo? C'è un'uscita? Perché? Cos'ha fatto di male?
Questa è la fine?

Apre gli occhi. È nello stesso posto, solo che stavolta la luce c'è davvero, o almeno così crede. 
Si alza, prima con fatica, poi quasi inciampando sulle sue stesse gambe, corre verso quel punto bianco che diventa sempre più grande, si espande, non vede nulla, accecante salvezza...

- Francesco, scegli la tua via. O Laura, o Dio. -



Buonasera miei cari lettori.
Vedendo le meravigliose +9000 visualizzazioni, non posso che ringraziarvi di cuore e regalarvi un testo!
Sinceramente mi sono imposta uno stop obbligatorio fino a quando non avessi finito un testo... Che alla fine ho mollato!
In questi due mesi comunque ho lavorato presso lo stupendo Centro Servizi Culturali Santa Chiara, e successivamente è iniziata la scuola e... un compito tira l'altro! Quindi non sono stata proprio tutto il tempo sul divano ;)

Perciò ribadisco le parole auree: SCUSATE e GRAZIE. Di cuore!

Bacioni,
La vostra Ivy

PS: avete indovinato chi è il soggetto?

martedì 15 luglio 2014

Commedie da ombrellone - Brutto

Signori, dal mare ve salutant! Eccovi una commediola da ombrellone... Buona lettura!

Geronimo sbuffò. Era successo come previsto.
Quella mattina era stato buttato giù dal letto dal suo migliore amico.
- Gerry! - aveva sbraitato Alfredo. - Su, svegliati! Ho promesso alla brunetta che l'avrei accompagnata alla sua spiaggia! Vieni con noi su! -
Geronimo, sbadigliando vistosamente, aveva chiesto dove.
E l'idiota, trionfante, aveva annunciato: - A Marina di Massa! -
Beh, Gerry era caduto dal letto. E dalle nuvole.
Sopracciglia foltissime. Occhi spiritati. Capelli ebano scheggiato. Magro da paura, alto da far schifo, pallido come un lenzuolo e peloso come un macaco. Questo era Geronimo Saltimbanco, terrore dei Game Shop della riviera romagnola.
Commesso, nerd incallito, era grazie all'ultima versione di Call Of Duty che aveva conpiaciuto Alfredo. Alto, bello, ricco, fisico statuario e conto in banca illimitato grazie alla carta del Papi, imprenditore di successo.
Così, dopo innumerevoli partite nel villino vicino Rimini, aveva accettato con riluttanza di andare con Fred a Forte dei Marmi, paradiso di ogni figlio di papà.
La riluttanza e l'odio per il mare erano scomparsi davanti ad un Gin Tonic sotto un ombrellone che costava più del suo salotto.
Ma quel mattino l'odio tornò, più prepotente di prima, sotto forma di spiaggia libera colma di vucumprà e bambini rumorosi.
Come aveva previsto in precedenza, ora i due erano comodamente sdraiati uno accanto all'altro, occhi chiusi e vento tra i capelli. E, per la filosofia del "al peggio non c'è mai fine", lui era steso sul suo telo del Brazil (perdente fino al collo, umiliato dai tedeschi neo campioni del mondo), sotto ad un ombrellone grigio topo morto e bianco sporco, con una birra ormai calda al fianco, il costume a pantalone calante che lasciava intravedere la mutanda bianca a righe blu, un cappellino in tinta con la mutanda piantato bene in testa come protezione ulteriore e le sneaker sommerse di sabbia bagnata, regalino del temporale del giorno precedente.
Il destino aveva però deciso che non bastava tutta quell'umiliazione. Il fato, sotto forma di fastidioso vento caldo, spinse via l'ombrellone, facendolo cadere rovinosamente sulla sua zucca.
- Porc... -
Fred si schiarì la voce. Non voleva che imprecasse davanti alla brunetta.
- ...ellino d'India! - sbottò, posando i piedi sulla sabbia. Ovviamente quel giorno c'era abbastanza sole da renderla rovente, e ovviamente lui si mise a saltellare in pieno stile "danza della pioggia".
Appena i suoi piedi callosi beccarono la stuoia, raccolse il bastone di plastica. Senza richiuderlo né smontarlo, provò a ripiantarlo spingendogli addosso sabbia coi piedi. Inutile dirlo, continuava a cadere.
In fondo scorse una ragazza con le cuffie ed una donna con la bandana arancione ridevano, godendosi la sua goffaggine. Effettivamente ci mancava lo sfottò.
L'ombrellone, come la sua autostima, colava a picco. Alfredo abbracciava la sua bella, forse ignaro, forse menefreghista nei confronti della situazione tragicomica. Persino una bambina e la sua gnocchissima sorella risero a crepapelle.
Quando era sul punto di scagliare quel coso in mare, finalmente resse. Pose lo zaino scassato dietro alla testa, e stava per prendere un sorso di birra (più simile alla pipì in effetti, ma pur sempre birra), quando un venditore gli buttò la saabbia negli occhi e gli piantò la merce sul piede.
- Ciappalì ciappalà! Arriva Mustafà! - urlò l'indiano - Tu volere occhiali? Solo cinque leuro! -
- No, grazie... - iniziò, ma l'uomo gli ficcò un paio di Ray-Ban tarocchi arancione fluo, facendogli sbattere un'astina sull'occhio.
- No, grazie! - ripetè.
- No, guardi, no grazie - mormorò Fred.
Ovviamente se ne andò. Alfredo era ammaliatore con tutti, persino i vucumprà subivano il suo fascino.
A volte lo invidiava. Solo a volte.
All'improvviso la musichetta di Psycho si diffuse nell'aria. Proveniva dal suo zaino.
I due piccioncini lo guardarono interrogativi; lui deglutì. Poteva voler dire solo una cosa...
- Ciao Mamma... - mormorò nella cornetta. Fred trattene una risata.
- GERONIMUCCIO! - urlò la possente brasiliana dall'altro capo. - MI SENTI? -
L'unico ragazzo sulla faccia della Terra ad avere la mamma sia invadente sia sorda.
- CIAO MAMMA. - urlò in risposta. Stavolta Alfredo rise.
- DOVE SEI PICCOLO CARO? IN SPIAGGIA? HAI MESSO LA CREMA SOLARE? SE TI VIENE INSOLAZIONE ALTRO CHE SAUDANJI, LO SAI VERO? -
Aveva allontanato la cornetta dell'orecchio, e la ragazza aveva sentito tutto... E s'era messa a ridere assieme a Fred.
- MAMMA TI RICHIAMO. CIAO -
- MA... - replicò la donna. Geronimo chiuse la conversazione e guardò male Fred, che smise di ridere.
Sospirando, si accese una sigaretta. All'ultima boccata la buttò a terra... non l'avesse mai fatto!
- Che diamine stai facendo? - urlò la brunetta.
- Butto la cicca... - replicò lui confuso.
- Butti la cicca?!?! Ma sei impazzito? Sai quanti anni ci impiegherà a smaltirsi? E quando andrà in mare? Complimenti, hai appena contribuito a creare una bomba inquinante! -
Alfredo tentò di farla ragionare.
- Era solo un mozzicone Arianna... -
- Solo un mozzicone??? Sei peggio di lui! -
Si alzò. - Io me ne vado! -
Prese il suo zaino e la sua stuoia e corse via.
- Arianna! - urlò Fred. Si girò verso Geronimo, furente: - Complimenti! Sei contento adesso? - e corse dietro alla giovane.
Beh, era contento certo... Ma anche terrorizzato. Poteva aver perso l'unico amico che aveva!
Alfredo tornò, indecifrabile il suo umore.
- Allora...? - chiese Gerry titubante.
- Amen, andata. Massì, non mi piaceva più di tanto... Stasera andiamo alla Capannina e ne troviamo due ancora più fighe, ma soprattutto che apprezzino Forte! Sei d'accordo? -
Pienamente, Fred. Non rimorchierò. Ma sono d'accordo.

Che ve ne pare? Se non v'è piaciuta... Vi consiglio un Cremino, con questo caldo!
A presto!
Ivy (croccante sotto l'ombrellone)

sabato 28 giugno 2014

Vacanze (involontariamente) romane

Buonanotte cari lettori!
Eh si, sono ancora viva. So di non essere molto presente, perdono... Ma se mi conoscete, o avete imparato a conoscermi, dovreste aver notato che in estate sono un po' altalenante! (Anche in inverno, ma soprattutto in estate).
Ho notato che abbiamo raggiunto il traguardo delle 8000 visualizzazioni: grazie di cuore amici miei!
Vi piace il nuovo cursore? Mi aspetto una risposta!
Questa sera vi scrivo, come promesso mesi or sono, dell'avventura romana... Divertitevi!




Fumo. Caos. Gente ovunque, che correva ovunque, che arrivava da tutte le parti.

E quattro persone che si stagliavano su tutte. In cima c'è un ragazzino con gli occhiali, che trascinava un trolley nero e rischiava più volte di inciampare. Dietro una ragazza un po' più grande, che correva come il fratello: ma, dettaglio non trascurabile, il suo trolley è rosa. In fondo alla coda madre e padre, più lenti dei figli, ma ugualmente febbrili. Correvano in direzione del binario 8, partiti dal fondo del binario 11 solo qualche minuto prima. Il loro treno, da fedele servitore di Trenitalia, s'era fermato ben un'ora in più del previsto a Napoli Centrale, e a quel punto, a Roma Termini, era una lotta per la coincidenza.
I ragazzi arrivarono a destinazione: finalmente il binario 8 comparve dietro la nebbia, ma... Del treno nemmeno l'ombra. Al suo posto, un FrecciaRossa diretto a Torino. Il loro era diretto a Verona.
- Diamine! - imprecò la figlia, mentre i genitori, col fiatone, li raggiungevano. - Mamma, è partito. Per 5 minuti! L'abbiamo perso! -
La madre imprecò in modo colorito. - E ora? -
- E ora... Vado a ... a chie...dere un... rim...rimborso, o un altro ... treno. - Il padre aveva messo le mani sulle ginocchia e respirava a fatica.
Una donna passò trascinando la sua valigia. - Avete perso la coincidenza? - Era Federica, un'insegnante seduta vicino alla ragazza, diretta a Brescia.
- Già... Tu pure? -
- Si, ma ho trovato un altro treno... Buona fortuna! - Scomparì di nuovo nella nebbia della stazione.
L'uomo nel frattempo aveva ripreso fiato. - Vado al banco assistenza. -
- Aspetta, Diego - lo avvertì la moglie - prima chiedi ad un controllore! -
Per svagarsi, i tre guardavano la folla, commentando chi passava.
Incredibile quanta gente c'era quel giorno! Come al solito pullulavano turisti cinesi e giapponesi, spinti dal richiamo della Città Eterna; tuttavia c'erano molti più polacchi, preti e suore del solito.
- Cielo! - esclamò Paola. - Ma domani c'è la Santificazione dei due Papi! Ecco perché ci sono tutti questi rappresentanti del clero! -
- Mai visti tanti preti e suore assieme - disse la ragazza.
- Susu, porta fortuna Rebecca... -
Al contempo, molti cameraman e giornalisti correvano verso l'uscita sorreggendo la pesante attrezzatura.
- Mamma, ma quanti sono? - Roberto, il "piccolo" di casa, era a bocca aperta. Scoppiò a ridere quando una donna, che a quanto pare si sentiva particolarmente affascinante, prese una storta alla caviglia dopo essere inciampata su un trolley e aver perso la stabilità del suo piedone, disteso nella décolleté tacco 15 rosso Ferrari.
- Un paio di sneaker no? Così impara... - borbottò Rebecca.
Diego tornò dopo pochi minuti. - Niente da fare Paola: non ce ne sono nelle prossime due ore. Andiamo a fare reclamo -
I quattro si avviarono verso il banco assistenza clienti. Inutile dirlo, questo - già molto pieno di suo - era oberato di persone provenienti dal loro stesso treno.
Accanto a Roberto si erano appostate tre nonnine, che a Rebecca ricordarono molto le tre Moire.
- Maria! - urlava una all'altra appena arrivata. - Ma dov'eri? Ti stavamo cercando! -
- Giovanna, ero lì in fondo! - Anche l'altra urlava.
- Cooosa? Che hai deeetto? - gracchiava la testa.
- Ho detto... Che ero... Lì in fondo! - sbraitò la seconda.
Roberto sghignazzava. Ma non veniva udito, a prescindere da quanto ci sentissero i suoi vicini: il rumore al banco era assordante. Una mandria di bufali con numeri in mano tentava di sgomitare per il proprio turno, impaziente di tornare alle rispettive case.
- Eccomi! Allora, c'è un treno per Bolzano alle 23. Abbiamo un buono per cenare. -
Rebecca guardò l'orologio e sussultò. - Ma sono le 17! Io sono stanca! -
- Non brontolare - la rimbeccò la madre.
Trascinarono i loro bagagli fino alla sala d'attesa. Diego si sedette. - Io rimango qui con le valigie - disse - voi andate a farvi un giro, la stazione è molo grande! -
Madre e figli s'avviarono verso il corridoio principale. Tabelloni grandi come porte-finestre erano illuminati a giorno per mostrare i treni in partenza e in arrivo, mentre colonne girevoli alte fino al soffitto pubblicizzavano il nuovo cellulare della Samsung o il nuovo paio di occhiali di Emporio Armani.
I negozi si susseguivano ai lati e al centro, come piccoli isolotti nel mare di gente. - Ci sono più negozi qui che a Trento! - ironizzò Rebecca.
Scelsero uno dei tanti bar e presero un caffè, l'ennesimo della giornata. Rebecca era giù d'umore, e la madre provò a tirarla su. - Guarda quanta gente puoi esaminare! Avrai da scrivere per un bel po', con tutti questi personaggi! Ed è un'avventura! - Le fece l'occhiolino.
- Si, Mamon, ma ti rendi conto che dopo 17 anni sono finalmente a Roma... E non la posso visitare? - Gettò uno sguardo malinconico ai vetri bagnati dalle lacrime del cielo.
Paola l'abbracciò. - Su piccola, ci torneremo... -
Roberto, geloso per natura, andò ad abbracciare le due donne. - Facciamo un giro? -
Entrarono in qualcuno dei negozi, ma la voglia era troppo poca per fare shopping. Così tornarono alla sala d'attesa, facendo attenzione a non scivolare sul pavimento bagnato, a causa degli ombrelli variopinti tenuti in mano dai turisti che disperdevano goccioloni lungo il passaggio.
Rimasero lì per qualche oretta, passando il tempo tra smartphones e chiacchere distratte. Presero un caffè in un bar al centro della stazione. - Eh 'nzomma - cinguettava la barista pulendo un lavandino. - Me sò messa a dieta. Niente più dolci finché nun me tolgo sti rotolini! -
- Ma dai? - esclamò la collega. Lei non era romana: lo si capiva dall'accento. - Ma non sei grassa! -
- Amò: nun me pijià perr culo. -
Girarono ancora per un po' a vuoto.
- M'è venuta fame - si lamentò Roberto.
- Andiamo a mangiare allora! - trillò Paola. Come mai fosse tanto esaltata da quella sfortuna, Rebecca non riusciva proprio a capirlo. - Prima però, un salto al bagno! -
Scesero le scale e svoltarono. Ma, a sorpresa, c'erano i tornelli. Bisognava pagare.
- Un euro! - urlò la ragazza. - Mamma, è una truffa! La mia pipì m'è costata di meno! Me la tengo, se lo scordano! - Inoltre, dalle porte trasparenti intravide una donna che si stava lavando i denti, e una che si risciacquava le ascelle. Decisamente poco igienico.
- Va bene, tirchia - sospirò lei. - La faremo al ristorante, okay? -

Andarono nella mensa dove potevano spendere i buoni per la cena. Prima gli uomini, poi le donne.
Aspettando il suo turno, Rebecca si guardò attorno. Persone di tutte le nazionalità si susseguivano ai tavoli, mangiando tutti le stesse cose, ma con stili diversi. C'era chi tagliava la banana nel piatto, chi la divorava come una scimmia, chi la sbucciava meticolosamente per poi staccarla con le dita; così come la carne, il brodo, l'insalata. Alcuni mangiavano da soli, altri in silenzio, altri discutevano animatamente della partita proiettata sui televisori, altri ancora del lungo viaggio effettuato e di quello da effettuare.
Arrivò il turno delle donne. Paola sgridò Diego di aver preso troppa roba: - Dobbiamo viaggiare, dovresti mangiare leggero! E se ti senti male? - Il marito replicò con una simpatica linguaccia.
Presero un vassoio, ci misero sopra insalata e pane. Andarono al banco secondi, dove un uomo robusto con un grembiule succinto e troppo piccolo stava mescolando distrattamente lo spezzatino. Alzò gli occhi, e con voce pigra disse: - Signore, nun c'avete er primo! Ve conviene er menù, ce risparmiate! -
Rebecca lo ascoltava rapita, come se stesse parlando francese. Quant'era bello il romanaccio!
Paola si limitò a sorridere. - No grazie, prendiamo solo il secondo. Per me solo le patate. Tu Rebecca? -
- A signò, ne è sicura? Me pare 'n po' ppoco. Ma vabbé, cavolacci sua. Per te? -
- Io prendo lo spezzatino. E... Non so se prendere le patate... -
L'uomo mise in un piatto la carne. - A ragazzì, pijiate le patate. Le voi? -
- Va bene, mi ha convinto! -
- E brava a ragazzina! - trionfò lui. Passò alle donne i piatti colmi. Dietro di loro una signora attempata ma ben vestita ordinò: - Excusez-moi, Monsieur, pommes frites, s'il vous plait. -
L'uomo sbuffò. - A segnò, er francese no! Pijia le patate? -
Rebecca non sentì il resto della conversazione: lei e la madre erano già scappate via ridendo.

Federica, l'insegnante che era con lei sul treno, le inviò un messaggio. Era riuscita a trovare una coincidenza e stava tornando a casa.
- Che fortuna - commentò Paola addentando una patata un po' bruciacchiata.
- Sai che invece mi piace un sacco stare qui? - Rebecca si girava da tutte le parti, con aria sognante.
- Visto? E tu che ti lamentavi! - rise la madre.
Un uomo attempato col cappellino della Roma urlava al televisore, come se il giocatore del Napoli potesse sentirlo. Al goal di quest'ultimo, una famigliola si alzò per esultare: padre e figlioletto avevano la stessa identica pettinatura. Rebecca lo trovò alquanto dolce.
- Rebecca - le chiese Diego - andresti a prenderci due caffè? -
- Certo. - 
Al bancone, il barista si dilettava con un uomo non tanto sobrio. - Amico mio, provate sto caffè: vera miscela arabbica! Altro che caffè corretto, viene dritto dritto dal Brasile! - 
Rebecca si schiarì la voce. - Mi scusi, vorrei tre decaffeinati... -
L'uomo distolse l'attenzione dal cliente. - E se io non volessi darteli? - ridacchiò.
- Potrei farmeli io, se mi dice come. - 
- Loretta! Hai sentito la signorina, vuole tre deca! -
- Subbbito! - trillò la collega. - Li bevi tutti tu? -
- No - rise lei - Li porto al tavolo! - 
- Allora te li metto su un vassoio. - Eseguì. - Ecco a te, zuccherino: attenzione, che lo rivoglio indietro! -
- Sarò velocissima! -
Bevuti i caffè, Rebecca corse a riportare il vassoio. - Veloce come il vento! Anche se ci sono troppi ostacoli da evitare: non farò mai la barista!  -
- Bravissima zuccherino. Grazie per aver rallegrato questa serata, alla prossima! -
Rebecca saltellò fino al tavolo. - Mamma, andiamo al bagno? -
- Ci sto. -
Una donna decisamente in sovrappeso chiese loro gli scontrini. Almeno lì avevano già pagato.
Le luci erano blu e soffuse, e i bagni alla turca s'alternavano a quelli tradizionali. Nemmeno l'ombra di spazzolini o ascelle. Perfetto.
- Guarda mamma! - esclamò Rebecca, notando che l'asciugamani elettrico emetteva una luce verdastra. - Per una volta in vita mia ho il pollice verde! Sembra la mano del Grinch, o di Hulk! - Rise. Paola rise con lei.

Uscirono dalla mensa verso le dieci. Camminando, Rebecca vide due hostess passarle davanti e si fermò.
- Cosa c'è? - le chiese Roberto.
- Guardale. - Indicò le due donne al fratello. - Che eleganza! E che divise, oh, farei il loro lavoro solo per la divisa, credimi! Sono così di classe! -
- Uhm. Si, di classe... Anche se io noto altro! - ammiccò. La sorella gli diede uno schiaffetto affettuoso sulla nuca.
Si fermarono a vedere lo scorcio di Roma che s'intravedeva dalle porte aperte.
- Ti ci vedrei a vivere a Roma - commentò Paola - Ti divertiresti: è piena di quei ruderi che tanto ami! -
Rebecca si limitò a fulminarla. 
- Secondo te cos'è quello? - Indicò al padre una statua dorata sopra ad una banca. - Una Madonna o un Cristo Redentore? -
- Una Madonna? - azzardò Diego. - Non vedo bene... -

- Accidenti, io sono senza occhiali... Provo a fare una foto col cellulare. - Non uscì molto.
- Secondo me è Gesù - sentenziò Roberto. 
- Chiediamo a quegli uomini! - 
Rebecca e Roberto chiesero ad un tassista, felice quando vide arrivare due potenziali clienti, piuttosto seccato ma sempre cordiale quando se ne andarono ringraziando.
- Era Gesù! - esultò Roberto.
- Forza. Andiamo al treno. -

Il treno in questione si rivelò più comodo del previsto, grazie al cielo. Il mattino dopo sarebbero arrivati a Trento.
- Sai, mamma - commentò Rebecca, prima di crollare, vinta dal sonno. - Mi piacerebbe vivere a Roma. -
E s'addormentò.


E così anche io, finalmente, mi addormento. Buonanotte miei cari lettori!
Ivy


Ps: vicende tratte, almeno in parte, da una storia vera. Grazie a tutti quelli che hanno reso avventurosa l'esperienza catastrofica!

domenica 11 maggio 2014

Mamma e febbre

Ragazzuoli e ragazzuole,
Buonasera... Avete il permesso di odiarmi. Anche se spero che non lo farete.
In questo periodo di assenza ho fatto un sacco di cose...
Innanzitutto ho ricevuto la Cresima (si, lo so, un po' tardi, ma si sa, impegni su impegni e non si trova tempo per nulla!) e sono diventata a mia volta madrina. Perciò un salutone alle mie due commari (volutamente con due emme) Sara e Serena, e alla madrina di quest'ultima, la mia mamma.
Inoltre appena tornata dalle vacanze (un pezzettino delle quali verrà narrato nel mio prossimo post) ho avuto modo di partecipare di nuovo al progetto Raccontare il Festival del Trento Film Festival della montagna: ecco il link del blog che abbiamo realizzato noi ragazzi della Redazione Giovani.
Ed infine, oggi c'è stata una giornata speciale, non solo per me ma per tutte le mamme mondiali: la festa della mamma. Colgo l'occasione per fare (di nuovo!) tantissimi auguri alla mia super mamma, e scriverle un post. Buona festa mammina <3


Rimase a fissare quei numeretti per un po’.
Trentanove.
Cavolo, non ricordava neppure l’ultima volta che aveva avuto la febbre a trentanove. Sarà stato dieci anni fa, pensò.
Poggiò il termometro sul letto, reclinò la testa all’indietro. “Mamma!” urlò, per quanto la voce roca glielo permettesse.
La donna arrivò dieci secondi dopo. “Dimmi.” Si appoggiò allo stipite della porta, gli occhiali in testa e la sigaretta elettronica in mano.
La ragazza le indicò il termometro. “Trentanove…” mormorò.
“TRENTANOVE?” sobbalzò la madre. Le toccò la fronte e guaì: “Ma tu scotti!”
“Ma valà?” rispose lei. Lo sapevo che sarebbe saltata in aria urlando…“Mamma, domani non posso saltare scuola…”
“Sciocchezze Gioia, tu domani stai a casa, e io con te.” Era intenta a marciare celermente verso la cucina. Gioia riusciva quasi a vederla, intenta a trafficare coi medicinali sullo scaffale, e ad esultare in silenzio davanti a quello giusto.
Tornò nella stanza e le diede una compressa di paracetamolo. “Si scioglie in bocca” spiegò.
Gioia la inghiottì con una smorfia. “È disgustosa”
“Ma ti aiuta.”
“Mamma, davvero, devo andare a scuola…”
“Non se ne parla!” Balzò in piedi e le tese il cellulare. “Ora scrivi alle tue amiche che non ci andrai!E dopo ti metti il pigiama e ti stendi sul divano con me! M’è capitata l’unica brontolona sulla faccia della Terra alla quale piace andare a scuola… Cose da pazzi!” Uscì borbottando.
Sbuffando, Gioia eseguì.

Mezz’ora dopo entrò nel salotto. La mamma stava guardando le ultime notifiche sullo smartphone, ma appena la vide lo posò e si tolse gli occhiali. Aprì le braccia. “Vieni qui, malatuccia…”
Gioia si tuffò nel suo morbido abbraccio, le membra flaccide e doloranti riscaldate dal suo calore materno.
“Rimisurati la febbre” le disse.
“Mamma, l’ho misurata mezz’ora fa!”
“Ma poi hai preso la pastiglia…”
“No, mi rifiuto.” Sciolse l’abbraccio e mise il broncio a braccia conserte.
“Va bene, torna qui.” E si avvilupparono di nuovo. La madre iniziò a carezzarle i capelli con delicatezza, guardando le ultime notizie al Tg.
“È da un po’ che non stiamo così…”
“Così come?” chiese lei.
“Sul divano, rilassate, senza cellulari o amici o compiti in mezzo…  Mi piace. Anzi, lo adoro.”
“Sai, per apprezzare veramente una cosa bisogna vivere con la necessità costante di averla vicino… Se l’avessimo sempre con noi non ne avremmo bisogno, e ci abitueremmo alla sua presenza tanto da trascurarla.”
“Filosofa, taci che non sento il notiziario!”
Gioia le lanciò un cuscino, mugolando per lo sforzo. La donna ribatté sulla coscia, e ne uscì una lotta all’ultima piuma, che ovviamente vinse quella ancora sana.
“Spero… Che tu… Abbia capito… Che non… Mi devi… Sfidare!” trionfò lei.
La malaticcia rise, tossendo.
Si riaccoccolarono. Gioia sbadigliò.
“Dormi, piccola.”

Qualche ora più tardi si ridestò. La gola le faceva ancora male, ma almeno sentiva caldo. La febbre stava scendendo.
La madre, accortasi che la figlia era sveglia, le carezzò i capelli. “Ben svegliata.” Le baciò la fronte, mentre quella si stiracchiava. “Scotti di meno, mi sembra… Misuratela.”
Da figlia modello, lei obbedì subito.
Trentotto e quattro… “Trentasei!”
“See, certo, e io sono Marylin Monroe! Molla qui!”
Le prese il termometro e lesse il numero. La guardò socchiudendo gli occhi. “Mi volevi prendere in giro?”
“Nooo…” replicò lei.
L’appoggiò sul divano, alzandosi, e andò al bagno. Gioia s’appropriò del telecomando, e mise su un canale di musica. Ma la testa le faceva male, e dovette chiudere. Che odio.
La madre tornò con una bacinella e una pezza. “Stenditi” ordinò.
Gioia eseguì. La donna bagnò lo strofinaccio e glielo pose sulla fronte. “Hai mal di testa?”
“Un po’…” ammise lei.
Dopo qualche secondo rinfrescò la pezza.  Poi le diede un’altra compressa, erano passate quattro ore. E ancora acqua. E ancora e ancora, fino a che non si riscaldò.
“Prendo altra acqua?”
“No, Mamy, grazie… Basta così.” S’alzò a fatica e le scoccò un bacio sulla guancia.
Lei andò in bagno e svuotò la bacinella. Tornando, la rivide addormentata: le alzò delicatamente la testa, la posò sulle sue ginocchia e si sedette, facendo zapping con una mano e accarezzando la figlia con l’altra.

Un sorriso le illuminò le labbra. “Trentacinque e nove!”
Gioia fissava il termometro, non riuscendo a credere di essere guarita così in fretta. “Posso andare a scuola domani!”
“Tzk! Dovrai passare sul mio cadavere!”
Tratto da una storia vera.
Fissò la madre mettendo il broncio. “Ma non ho febbre!”
“Ma l’hai avuta” precisò.
La ragazza sbuffò. Cuore di mamma…
“Va bene… Ma stai anche tu con me!”
E con un abbraccio chiusero la questione.
Non vedo l'ora di riavere la febbre.


...Io no! Mammina, ti coccolo anche da sana giuro!
Auguri a tutte le mamme!

Ivy