. . . All you life, you were only waiting for this moment to be Free . . . * Nulla enim culpa est in somnis.

giovedì 9 giugno 2016

8

Ciao a tutti miei cari lettori!
Vi ho sconvolti un pochino tornando senza nemmeno una riga di saluti, eh? Ma il post precedente, capitemi, è stato scritto di getto... Perché, come avrete intuito, si è chiuso un portone nella mia esistenza. La vita va avanti comunque, e tra me e l'estate c'è un esame di m... da superare. (Ovviamente voi sapete cosa sta al posto dei puntini...)
Ergo, prevedo già di assentarmi per altri 3 mesi: o forse no, chi può dirlo. Mi dispiacerebbe abbandonarvi di nuovo, quindi farò il possibili perché ciò non accada.
Nel mentre, vi posto un racconto che purtroppo non è risultato vincitore in un concorso al quale ho recentemente partecipato... Beh. Nella vita si vince e si perde, ed è sempre meglio vincere, ma quando si perde almeno posso postarvi qualcosa di nuovo :P
Buona lettura!



Ottavia era una studentessa. Un po’ pigra, un po’ distratta, molto addormentata e molto vogliosa di uscire dalle quattro mura scolastiche per andare a spasso con gli amici, che nascondeva però un’indole per una materia in particolare: nel suo caso, la matematica. Già il suo nome, Ottavia, rimandava ad un numero, l’8, che per lei era il migliore in assoluto; secondo lei racchiudeva in sé tutta la perfezione, le filosofie e le regole matematiche assieme, e non si faceva sfuggire mai l’occasione per ribadirlo con chiunque.
Il giorno che fa da cornice a questo racconto fu un’altra occasione.
Suonata finalmente la campanella ed uscita dall’Inferno Dantesco, c’era il suo ragazzo ad attenderla. I due camminarono per un po’, parlarono del più e del meno, poi si sedettero in un bar, l’Eighty-Eight.
“Questa tua fissazione per il numero otto è quasi maniacale” commentò Roberto, succhiando dalla cannuccia un frappè al cioccolato fondente e cocco.
“È perché tu non ti soffermi abbastanza sulla cosa!” La ragazza, con davanti un frappè alla fragola e panna, risucchiò rumorosamente il fondo, facendo girare un anziano signore dall’aria infastidita.
“Su cosa dovrei soffermarmi scusa?”
“Allora, tanto per cominciare: che giorno ci siamo incontrati per la prima volta?”
“Era… uhm… il…”
Ottavia sbuffò. “Mesi e mesi assieme, e non sai nemmeno quando ci siamo incontrati! Te lo dico io: il 18 agosto. Ed agosto è l’ottavo mese dell’anno.”
“Coincidenze? Io non credo.” Rispose lui, citando un famoso programma televisivo. Iniziò a sua volta a risucchiare il fondo del bicchiere: l’anziano si lamentò con la cameriera. Questa, essendo amica di Ottavia, lo calmò bonariamente e se ne andò, facendo l’occhiolino alla coppia.
“Ma quali coincidenze!” continuò Ottavia. “Coi numeri non si scherza! E quando ci siamo messi assieme? Questo te lo ricordi?” Intanto prese dalla borsa una penna ed iniziò a disegnare sul tovagliolino del bar. Al centro pose un enorme 8, e collegò ad esso la scritta ’18 agosto’.
“Ma certo che me lo ricordo.” Addolcendosi, Roberto le prese la mano, sfiorandole le nocche. “8 ottobre.”
“8! Visto?”
Il ragazzo sbuffò. “E chi me lo dice che non lo hai fatto apposta?”
“Ma se sei stato TU a chiedermi di metterci assieme!”
“Magari mi hai stregato.” Le baciò la mano, ridendo. Lei arrossì, poi si ricompose.
“Non mi distrarrai così, caro mio! Che mi dici delle mosche?”
“Intendi dire che il numero 8 ha effetto anche sulle mosche?”
“Eh, certo. Le mosche sono convinte che il numero 8 sia una ragnatela, dunque la evitano per non rimanere attaccate.” Nel frattempo Ottavia addentò una brioches alla marmellata di mirtilli. Mugolò di piacere. Aggiunse allo schema ‘8 ottobre’ e ‘mosche’.
“Appunto. E ti sembra positiva la cosa?” Roberto tentò di rubarle un morso, ma Ottavia scansò il cornetto, facendo in modo che il giovane si mordesse la lingua. “Ahia!” piagnucolò.
Lei gli scoccò un bacio sulla guancia. “Si, mi pare positivo” rispose, “perché così non entrano mosche in casa!”
“A me pare una cavolata.”
“Bene, allora ti faccio un altro esempio: la clessidra. Hai mai notato che è simile ad un 8? Persino il tempo è governato da questo numero! E che dire del quadrifoglio, che è formato da due 8 incrociati?” Pose sul tovagliolo il disegno di un quadrifoglio ed uno di una clessidra.
“E quindi anche la fortuna è in mano ad un 8?” Roberto si alzò, portafogli alla mano.
“SI!” urlò lei. Qualcuno si girò, spaventato dal suo grido. Ottavia, imbarazzata, s’alzò a sua volta, spolverandosi i jeans. “Beh, si, anche la fortuna. Sarà bendata con degli occhiali a forma di 8.” Concluse l’opera d’arte con una donna con gli occhiali. Piegò il tovagliolo e lo pose nella tasca dei jeans del ragazzo. Roberto protese la mano per prendere il conto, ma Ottavia fu più veloce: lo lesse e rise.
“Visto? 8 euro!”
“Dammelo!” Le strappò di mano il foglietto. Poi socchiuse gli occhi e la fissò. “Tu hai cospirato con la cameriera!”
“Assolutamente no!” rispose lei alzando le mani.
Dopo che pagarono, Ottavia s’appese al suo braccio. “Noi siamo legati da un 8. E l’8, visto al contrario, è simile ad un infinito.”
“Non starai per esordire con un discorso simile alle ragazzine che si fanno i selfie nei bagni e postano le foto su Facebook, vero?” sbuffò lui.
“No. O meglio, non proprio. Secondo me, il simbolo dell’infinito è diventato popolare perché qualcuno ha avuto la geniale intuizione di sfruttare l’idea di qualcosa che non finisce mai. Perfetta per una coppia o per un’amicizia, certo, ma a me piace per un altro motivo.”
“Ah, si? Quale?”
Ottavia si fermò. Tirò fuori dalla T-shirt una catenina, alla quale era appeso un ciondolo col simbolo in questione. Lo pose davanti agli occhi di Roberto e disse: “Vedi come è formato? Non è solo una linea che non termina mai, altrimenti saremmo tutti ad osannare gli 0, i cerchi, le O. No, questo in mezzo s’incrocia. Ecco, io credo che il nostro legame sia così. Non solo come una linea che non ha inizio né fine, ma anche come un incrocio che lega due vuoti. Prima di te ero vuota. Ora sono legata a te.”
I due giovani si baciarono. Poi camminarono mano nella mano, ognuno perso nei suoi pensieri. Alla fine Ottavia ruppe il silenzio.
“Stasera cinema?”
“Va bene,” rispose lui. “Ma cosa?”

Ottavia fece un sorrisetto cospiratore. “L’ultimo di Tarantino… The Hateful Eight!”


Spero non vi sia sembrato troppo paradossale. Io mi sono divertita a scriverlo!
A presto, ne sono certa,
Ivy

PS: si, purtroppo mi sono accorta di aver saltato il 4° compleanno di Fairy Tales :( I'm sorry! Ed auguri a NOI!

martedì 7 giugno 2016

Last Day Ever

Ciao caro vecchio Prati,
Ho voglia di parlare con te. Sai che sono una persona egocentrica e menefreghista, quindi non m'importa cosa avranno da ridire gli altri: io ti scrivo.
Cinque anni fa ho varcato questa tua porta convinta della mia scelta. Non ho nemmeno guardato gli altri posti: hai subito avuto qualcosa che m'ha attirato come una calamita, che mi ha fatto dire "qui è dove voglio stare".
E caspita, me ne sono pentita più volte! A partire dal primo 4, che è sta
ta una coltellata in pancia dopo i voti alti delle medie; passando alle tante verifiche con "troppa roba da studiare!", approdando a quelle versioni che ancora oggi proprio non capisco.
Ma credo che questo sia il più grande insegnamento che tu mi abbia donato: mi hai richiesto sempre il meglio, cosicché anche quando non sono riuscita a dartelo, sono stata comunque eccellente.
Se mi guardo alle spalle, vedo una persona totalmente diversa da quella che sono ora. Sono entrata da precisina, meticolosa, sempre elegante (o quasi), logorroica ma sulle mie, presuntuosa da far schifo. Ora ne esco maturata (non ancora scolasticamente, ma just details), con un occhio di riguardo ai bisogni altrui e le Converse ai piedi. Ma ancora presuntuosa. Ovviamente.
Mi hai insegnato a rendermi ridicola ed a mettermi in gioco, perché la vita è una sola, e del doman non v'è certezza quindi carpe diem. Mi hai insegnato che si può essere i migliori anche senza dimostrarlo, e che viceversa coloro che lo dimostrano forse non lo sono così tanto. Mi hai insegnato che ci sarà sempre qualcuno che tenterà di buttarmi giù, ma io sto coi piedi per terra e non mi arrendo, e che uno su mille ce la fa, ma se quell'uno si gira può aiutarne altri cento. Mi hai insegnato che ancora non so spiegarti il mio metodo di studio, ma l'ho acquisito giuro!, e che anche se credo di non sapere un tubo sono in grado di parlarti di un argomento per 10 minuti. Mi hai insegnato a dubitare anche di me stessa, che le tautologie non sono spiegazioni, che la cultura non è solo umanistica ma è anche scientifica, che "siamo un liceo classico!" ma non sembra. Mi hai insegnato che anche quando il momento sembra insuperabile basta guardare avanti e tutto diventa più semplice, e mi hai insegnato che anche quando non penseresti mai di riuscirci ce la farai. Sembra banale, ma mi hai anche insegnato i valori dell'amicizia, dell'amore, del rispetto, e per questo ringrazio tutte le persone che hai accolto nella tua grande famiglia. Ed uso volutamente questo termine, perché i parenti sono serpenti e non sempre si riescono ad amare.
Oggi, scendere quelle scale correndo con in mano un pacco di farina è stato catartico, così come lo è stato imprecare un'ultima volta contro il tuo schifoso sistema per entrare in Internet, contro quelle scale che non finiscono mai, contro la fila ai bagni delle ragazze, contro le vetrine dell'anno vattelapesca, contro i banchi e le sedie, contro le porte che non si chiudono se non le sbatti. Non sono riuscita a piangere, probabilmente stasera crollerò, ma ho sentito che era giusto così.
Vai, Prati, vai ad educare altri ragazzi alla vita. Tormentali, prosciugali, e poi masticali e risputali. Ma voglio vedere quanti non ne usciranno migliorati.
Grazie.
Silvia