. . . All you life, you were only waiting for this moment to be Free . . . * Nulla enim culpa est in somnis.

domenica 30 agosto 2015

Il deserto grigio

EEEEEEE BENTORNATA A ME!

Ciao a tutti! Pensavate di esservi sbarazzati di me, eh? E invece no!
Okei, torno seria. Scusatemi di tutto cuore: mi sono presa una luuunga vacanza estiva per rimettere a posto idee e priorità, e per una volta rilassarmi (spero meritatamente). Ma ora che Settembre incombe minaccioso, è ora di tornare all'opera!
Mi aspetta un anno molto duro, tra patente e maturità. Spero - anzi, credo! - che col vostro sostegno ogni mia forma di tensione si possa alleggerire. Ordunque, iniziamo!

Una spessa coltre simile a nebbia inondava tutta la zona. Il deserto grigio s'estendeva in tutta la sua aura minacciosa, e ad ogni passo si ribellava un po' di più, sollevando un vento impetuoso che la faceva starnutire.
Sadia se l'era immaginato diverso. Non sapeva nemmeno lei se più o meno spaventoso, di certo però quella vista incuteva abbastanza timore da indurla a tornare indietro. Ma non c'era tempo, né modo. Doveva andare avanti.
Zampettò ancora un pochino, verso l'orlo del baratro. Guardò giù... "Che vertigini!" pensò tra sé. Rientrò nei limiti.
Era stanca; solo l'adrenalina la spingeva a continuare. L'aria era irrespirabile, peggio di quella di casa sua - eppure abitava praticamente sottoterra, e lì sì che non si respirava mai! Che noia però, sempre divisa tra casa e lavoro, mai un attimo di pausa. Per questo si era ribellata, ed era giunta fin lassù: per dimostrare che lei non era inferiore a nessuno, che anche lei poteva compiere imprese straordinarie ed affrontare la natura.
Continuò a camminare finché non intravide uno strano oggetto rosso. Si avvicinò: ma era una macchina! Che ci faceva lì? Euforica, entrò nello stretto abitacolo, giusto in tempo per evitare un enorme animale che passava di lì. Santo cielo, che schifo! Peloso, dalle lunghe zampe, più che un ragno sembrava un robot gigante. Si nascose nella vettura, immobile finché non passo. 
Si doveva essere appisolata da qualche minuto quando sentì delle voci. Stava ancora sognando? Non credeva proprio. Uscì dall'auto e sgattaiolò via, rischiando di scivolare sulla sabbia. 
Vide una casa. La sua destinazione.
Nessuno dei suoi amici si voleva avvicinare ad essa. Giravano strane voci al riguardo: che fosse infestata, che ci fosse morto qualcuno, che vi abitasse una vecchia strega. Ora Sadia l'avrebbe scoperto, una volta per tutte.
Spingendo il portoncino rosa, entrò. Anche dentro, la sabbia grigia s'era insinuata in ogni dove. 
Cautamente si guardò attorno. Al centro della stanza c'era un divano, con di fronte un tavolino con dei fiori finti. Attaccata alla parete c'era la TV, e dietro al piccolo salottino la cucina, con lavatrice e forno impilati. Che strana combinazione!
Anche sul davanzale c'erano tulipani finti. Nel forno chiuso giaceva una torta, a terra un tappeto. Sadia s'inoltrò ulteriormente, seguendo lo stretto corridoio rivestito di carta da parati gialla. C'era uno specchio, ma era troppo in alto per lei. Intravide il bagno, composto essenzialmente da doccia, water e lavandino, senza troppi fronzoli. Ed infine la camera da letto: un grande baldacchino sovrastava ogni cosa, facendo sfigurare i mobili bianchi di ottima fattura. Invitanti cuscini erano posti su tutto il materasso, e su di essi...
Sadia raggelò. Per un attimo non riuscì a muoversi, poi si avvicinò con circospezione. Quello era Adon!
"Adon... Stai bene? Sono anni che ti cerchiamo..." Quando lo mosse, però, scoprì che era morto.
Trattenne un urlo. Doveva fuggire da quel posto maledetto!
Uscì di corsa, il respiro affannoso che si scontrava contro l'aria putrida non le permetteva di andare veloce quanto avrebbe voluto. Inciampò sulla porta: un ragno, più grande del precedente, se ne accorse e fece per avvicinarsi, ma lei andò via, corse fino al punto dal quale era venuta, quando...
"AAAAH! UN RAGNO! SIMONE, SILVIA, DA QUANTO TEMPO NON SPOLVERATE QUI SOPRA? CHE SCHIFO!" 
Un panno della polvere la tramortì. 
Sadia la formica precipitò nel vuoto. 
Il mobile dei giochi dell'infanzia fu ripulito.

Hei, che ti aspettavi? ;)
Spero vi sia piaciuto! In tal caso commentate :D
Vostra,
Ivy (si riparte!)

venerdì 1 maggio 2015

AUGURI FARY TALES x3


Ragazzuoli, anche quest'anno ci siamo!

AUGURI FAIRY TALESSSSSS!!!

Siamo arrivati assieme a tre spettacolari anni... Grazie di cuore per tutto!
Ho ricominciato la mia avventura col Trento Film Festival, ma non per questo non giungerà un post al più presto, promesso!

Un po' di numeri, come al solito:

- 12793 visualizzazioni finora (h. 22.15): oh cielo, quasi il doppio dell'anno scorso!

- 114: i post di questi 3 anni

- 20: i post dall'ultimo conteggio (troppo pochi, argh! Migliorerò)

- 15: i meravigliosi lettori fissi che mi hanno donato la propria fiducia (esclusi i miei due account)

- 1: la pagina Facebook (basta ed avanza ahahha)

- TROPPI: gli impegni che prendo!

- 161: i commenti pubblicati

\infty \infty \infty \infty GRAZIEEEE!

- a breve: newsss

A PRESTO!


Ivy


sabato 25 aprile 2015

Scappiamo se ti sposo?

Lettori! La vostra Crazy Girl è tornata!
In occasione della Festa della Liberazione, mi sono... liberata per voi!

Cretonne... A quanto pare è il simbolo del 19° anniversario!
Mai sentito prima d'ora...
A quanto pare "è originalmente un tessuto di tela bianca forte".
Boh!
Innanzitutto, devo fare degli auguri gigamegagrandi alle due splendide persone che 19 anni fa, prima di mettere al mondo due BELLISSIMI bambini come me e mio fratello, sono convolati a nozze! Auguri dunque alla mia mamma e al mio papà, che possano vivere sempre felici e contenti!
Questo è per voi.


Ci sono giorni che non dimenticherai mai, dicono.
Giorni che rimarranno impressi nella mente di tutti quelli che erano con te, immortalati da centinaia di foto e ricordi molteplici da vari punti di vista.
Per alcuni, i giorni migliori sono quelli 'scontati': nascita di un figlio, vincita al lotto, laurea. 
Per altri sono fatti di piccole cose. Un sorriso più luminoso del solito, un taglio di capelli nuovo, un gelato squisito, ma soprattutto la compagnia giusta. 
E cosa c'è di meglio della compagnia della persona con la quale si vuole passare il resto della propria vita?
Forse per questo il matrimonio è (quasi) sempre in cima a queste liste: è un mix di piccole e grandi cose, tanti piccoli dettagli per il "Giorno più importante della tua vita".
Beh, quasi.
Antonia continuava a ripeterselo, ogni volta che Geremia, il fotografo, le urlava - SORRIDI! - .
Era bravissimo, il migliore forse in circolazione, ed ascoltava tutto ciò che lei e Paul gli consigliavano. Però Antonia non sopportava chi le diceva di sorridere. Li odiava, tutti. Perché i sorrisi devono essere spontanei, ed i suoi in quel momento tutto erano meno che spontanei.
Era nervosa, stanca, agitata - come poteva Geremia anche solo pensare di farla sorridere? Impossibile!
Eppure si sforzava. Ed era bellissima, ma lei si vedeva falsa, perché sapeva di poter fare qualcosa di migliore. Qualcosa di speciale, che la facesse risplendere di luce propria.
Quella stessa luce che aveva fatto innamorare Paul.
Si erano conosciuti a scuola, anni prima. Due finti ribelli, che scappavano dalla vita rincorrendo l'aria tra i capelli sul sellino di un Sì della Piaggio, quando ancora si fumava ovunque e i cellulari non esistevano nemmeno. Anni di risate e di lacrime, che però contribuirono a farli unire per la vita.

A questo pensava Paul, annodandosi la cravatta fino a che il respiro non divenne corto. Riallentandola, notò che gli tremavano le mani. Bene.
E se lei avesse detto no? Se durante la notte aveva fatto una fuga degna di Se scappi ti sposo e nessuno lo aveva avvertito per non farlo preoccupare ulteriormente? Se non le fosse piaciuto il suo completo nero, col corpetto lavorato e la cravatta fin sul pomo d'Adamo? Si sarebbe dovuto tagliare i capelli? Avrebbe dovuto lucidare le scarpe? Poteva non tagliarsi le unghie così corte, non sapeva cosa mangiare!
I marinai avrebbero consigliato un goccetto a questo punto, ma Paul temeva di scivolare lungo la navata della chiesa di S Antonio, mettendosi a nuotare come un pesce. Meglio non rischiare.
Gli tornò alla mente l'odore di pesce appena pescato, non esattamente romantico, ma in quel caso abbastanza speciale...
Qualche giorno prima lui ed Antonia avevano fatto un meraviglioso servizio fotografico. Le stradine di un meraviglioso paesello affacciato sul mare avevano accolto risate e sussurrii dei due innamorati, che improvvisavano pose ora divertenti, ora dolci, ora originali. Memorabile un bacio sotto ad un lampione, scattato dall'alto, sullo sfondo il mare...

Antonia pensava proprio a quel mare per tentare di calmarsi. Onda contro scoglio, scoglio verso onda.
La parrucchiera le aveva appena acconciato i capelli in una cascata di boccoli definiti, tenuti alla radice da perline e rose bianche intrecciate come a formare una coroncina, alla quale avrebbero attaccato il velo. Dio, quanta lacca!
Le scarpe l'attendevano di fronte, sorridendole beffarde mentre si metteva le calze. Sembravano dire: ci sopporterai tutto il giorno? Lei ci sperava.
Nel frattempo, era giunto il Momento Solenne, meno importante solo di quel Sì urlato a Dio e ai parenti.
Era arrivato. Il vestito.
Gonna di taffetà di seta tendente all'avorio, lievemente più corta davanti, e corsetto di pizzo con manica a tre quarti e scollatura a V, tempestato di perline cucite a mano una ad una . Una meraviglia, frutto di ore ed ore di lavoro della mamma aiutata dalla sorella, chine su questa stoffa preziosa. 
Un capolavoro.
Antonia lo indossò con un brivido, lo fece scivolare su di sé e si fece abbottonare la schiena. 
Perfetto. Letteralmente cucito addosso.
Messo il velo ed i gioielli, toccò ad altre foto di rito: rose, sorrisi, parenti. Pff. In un angolo, spiò la madre mentre si asciugava una lacrima: lì ne uscì un sorriso realmente spontaneo.

Un'ora dopo era sul sagrato della chiesa. Suo fratello le strinse un braccio, lei ricambiò distrattamente. Fissava il portone impaziente, gli istanti sembravano anni. Dietro di lei, anche la sua nipotina, auto-definitasi "la Dadamigella", scalpitava per entrare.
Finalmente il momento giunse.
La navata sembrava eterna, ma Paul era la luce alla fine del tunnel, e la cinse appena arrivò alla fine della traversata. 
Antonia si calmò.

Inutile dirlo. Una funzione stupenda, intervallata dai commenti divertenti ed affatto inopportuni del Don e da qualche lacrimuccia che faceva capolino qua e là.
Tranne un attimo di panico quando la fede non riusciva ad entrare nel dito di Paul, tutto filò liscio. Solo dopo lo scambio delle promesse entrambi lasciarono che il respiro tornasse regolare; non si erano nemmeno resi conto di aver trattenuto il fiato così a lungo. 
Come se potesse succedere qualcosa! Nulla batte l'amore.
Ma ora, appena finite le firme di rito, rimaneva da affrontare la folla... Che fare?
I due neosposi si guardarono negli occhi senza alcun dubbio.
Scappiamo.
Uscirono di corsa dal portone senza guardare in faccia nessuno. Gli invitati, sbigottiti, riuscirono a malapena a lanciare una manciata di riso; i più temerari li rincorsero ridendo.
Una mini fuitina post matrimonio in piena regola, che li condusse verso il veicolo senza intoppi, coi polmoni svuotati dalle risa e dalla fuga.

Una volta in macchina, Paul la baciò.
- Benvenuta, signora X. -
Forse quella era la Felicità.

* cognome censurato per motivi di privacy. Non ci vuole molto ad intuirlo, ma amo i sotterfugi.


Volete sapere se andò esattamente così? Qualcosa è vero, qualcosa no.
Ma non saprete mai cosa.... Nel frattempo, godetevi la storia così come è scritta.
Spero vi sia piaciuta... Anche perché, senza di loro io non sarei qui a scrivervi!
Buona serata, 

Ivy (figlia fortunata)

PS: a chi interessa, ho finito Girl Online. Beh, a differenza della protagonista del libro di Zoella, voi più o meno sapete chi sono. E non è proprio un diario questo blog. Ma di certo mi aprirò di più... Chissà che anche voi non diventiate 10.000 lettori fissi in più nel giro di una notte!
PS 2: Diamo il benvenuto a Lucetta del Lucetta's Blog, che s'è unita alla collaborazione con Crazy Girl's Fairy Tales! Passate dal suo blog: http://lucetta91.blogspot.it/

mercoledì 8 aprile 2015

Ritornata!

Buongiorno signori & signore!
Ops, è da un po' che non entro eh? Quest'anno sono stata davvero deludente, pochi post, poca frequenza... Mi spiace tantissimo!
Diciamo che sto compensando con la vita reale... Tra un po' forse partirò col mio terzo anno consecutivo di collaborazione col Trento Film Festival, e sono molto indaffarata su tutti i fronti.

Che duro essere maggiorenni, eh?
Naah. Ero indaffarata anche prima.
Comunque, anche quest'anno non c'è scampo! La primavera è rifiorita, il sole c'è a tutte le ore, e il mio raffreddore fa capolino in ogni istante. 
I professori sembrano farti il regalino dandoti pochi compiti delle vacanze, e alla fine ti ritrovi con una verifica ogni giorno; ed anche volendo è difficile aggiornare il blog, capite?
Non sto più scrivendo, né leggendo... E oggi mi sono costretta a fare tutte e due le cose. Che diamine, non si vive di solo studio ed ozio! E voglio prendere del tempo per me, per fare ciò che amo. 
Ho preso in mano un libro che parla di una blogger in erba, proprio come me... Si chiama "Girl Online" di Zoe Sugg. Magari è da "bambini" rispetto a Pirandello e Dante... Però volevo qualcosa di leggero, e questo regalo è caduto a fagiuolo.
E poi, cosa c'è di meglio di un bel romanzetto rosa quando si è nel pieno della stagione degli amori?
Quando anche ai piccioni il cuore batte più forte, quando il bel tempo t'invita a tavola sui prati, per poi far volare i sacchetti mentre ti stai crogiolando al sole, quando da un momento all'altro le nuvole prendono il sopravvento e scappi in un bar davanti ad un caffé? Quando i bimbi urlano e giocano, le coppiette passano mano per la mano, gli occhiali da sole schermano sguardi furtivi, le famiglie improvvisano gite fuori porta e le amiche sforano la dieta a favore di quel "meraviglioso gelato al cioccolato bianco" che le guarda "urlando 'mangiami'!"?
Forse quel libro m'ha presa un po' troppo tra le sue spire.
Però, sebbene mi fossi ripromessa di non trasformare questo blog in un diario personale, per una volta voglio seguire il consiglio della Suegg.
Così ho deciso di aggiornarvi anche sui miei ultimi viaggi.
Eh, si, Ivy la poltrona ha viaggiato!
Nel giro di due settimane ho visto due luoghi stupendi, dove non ero mai stata: Roma e Venezia. Quattro giorni la prima, uno la seconda.

Vi sembra un suicidio? Forse! Il mio corpo di certo non ne è uscito illeso: piedi e schiena distrutti, e stanchezza a mille. Ma ragazzi miei, è stato meraviglioso.
Vi importa ciò che ho capito? No?
Lo scrivo lo stesso.
Ragazzuoli, abbiamo il Paese più bello del mondo! Non andate all'estero prima di aver visto le meraviglie che avete attorno! 
Volete un'epoca storica? In Italia la trovate. Volete cibo buono? Avoja! Volete gente cortese? Idem. 
Abbiamo una storia millenaria, edifici spettacolari, paesaggi mozzafiato... Valorizziamoli per primi noi!
Per esempio, Venezia. Piange il cuore vedere come è ridotta... Si vedono più bancarelle che edifici! Per fare la foto alla statua del povero Paolo Sarpi ho quasi rovesciato ombrelli e mutande! E la muffa regna sovrana su alcune pareti millenarie, e trovare un cestino è pressoché impossibile. E la gente mangia per strada noncurante, e - ancora, ahimé! - dà da mangiare ai pennuti. Quando San Marco sarà imbiancata saranno contenti?

Ho trovato Roma tenuta meglio da un punto di vista storico, peggio per la vivibilità della città. Buche ovunque hanno quasi rotto il mio povero trolley rosa, e dopo un potente diluvio le strade erano un cimitero di ombrelli e cartoni. 
Anche se ciò che forse mi ha fatto più male è stato non poter fare foto alla Cappella Sistina. Non per la foto in sé - Santo Cielo, se mi fosse stato detto che avrei rovinato gli affreschi sarei stata la la prima a posare la macchina fotografica! - nono, lo stato di conservazione non c'entra affatto.
Una sola parola.
Giapponesi.
La Cappella Sistina è stata restaurata grazie ad una TV giapponese, e per questo ora LORO hanno i diritti. 
Vi sembra possibile che i diritti di una delle meraviglie ITALIANE siano in mano a persone che non sanno nemmeno dire la R?
Chiamatemi razzista, ma sono indignata da ciò. Ci lamentiamo del fatto che l'Italia stia sprofondando, e poi spediamo oltreoceano i soldi ricavati da Michelangelo.
Sorvoliamo come un piccione di San Marco (si, oggi ce l'ho particolarmente con loro)... Perché si può dire qualunque cosa negativa, però il problema non è l'Italia, ma (alcuni) Italiani.
Perché chi parla male dell'Italia ancora non è passato sotto la Torre dell'Orologio, rimanendo abbagliato dallo splendore della Basilica. Né ha visto la maestosità di San Pietro, o la sinuosità delle opere del Bernini, per non parlare dell'impatto emotivo dei Fori Imperiali by night o Castel Sant'Angelo con in cima il Tricolore. Ed il Ponte di Rialto, che abbraccia le gondole ed il mare, oppure i Tetrarchi, risalenti addirittura al III - IV secolo...
Basta però.
Questo post sembra una puntata dei Simpsons: è partito da un argomento ed è finito con uno all'opposto.
Grazie di continuare comunque a leggermi, anche se vi abbandono mentre vivo.
Vi voglio bene!
La vostra Ivy

PS1: Ringrazio le mie amiche, senza le quali non avrei fatto due viaggi simili, e la mia stupenda accompagnatrice.
PS2: Grazie ad una persona davvero speciale... 4. Basta questo.
PS3: BUONA PASQUA in ritardo a tutti! Spero l'abbiate passata con gioia ed allegria, in famiglia o in compagnia! (#poetadenoartri)


martedì 17 marzo 2015

Riemersi Dal Passato

Riemersi dal passatoBuon pomeriggio cari lettori!
Ogni volta mi riprometto di scrivervi di più, ma poi gli impegni mi fanno desistere.
Tuttavia, mentre giro di conferenza in mostra, interrotta da altri progetti, mi diletto nella scrittura di articoletti giornalistici.
Sperando vi piaccia, vi propongo l'ultimo che ho scritto:

Riemersi dal passato

Buona lettura!
La vostra Ivy

lunedì 23 febbraio 2015

Maggiore età

Cari lettori, care lettrici,
oggi per voi è stata - spero - una giornata come tutte le altre. Avete fatto la spesa, vi siete svegliati imprecando per il ritardo, avete visto un film, avete lavorato, vi siete stravaccati sul divano. 
Per me, oggi, è stata una giornata un po'... Particolare.
Non perché io non abbia fatto la spesa, non abbia fatto il mio dovere a scuola, non sia ora stravaccata sul divano mentre vi scrivo. 
E nemmeno perché non dormo seriamente da circa 48 h, avendo voluto fare la geniale e dunque avendo guardato tutta - o quasi - la Notte Degli Oscar. Oh, no.
La verità è che domani, 24 febbraio, una parte di me si spegnerà (metaforicamente).
Dopo 17 anni da bambina, dovrò render conto al mondo della mia esistenza. In poche parole, la sottoscritta diventerà maggiorenne.
Manca solo un'oretta, eppure, come nel sonetto di Ciro di Pers Orologio Da Rote, mi par che ogni rintocco dell'orologio sia un battito sulla tomba...
Okei. La sto facendo moolto tragica.
Il fatto è che proprio non mi va. 
Non mi va di perdere ore preziose per andare a votare persone che comunque non vinceranno, ed anche se vincessero non sarebbero come vorrei io.
Non mi va di mettermi al volante di una vettura, che di certo righerò. Non mi va di dover scendere dalle mie amate nuvole per non mettere sotto un innocente passante, o peggio, essere sbalzata via da un ubriaco di passaggio su una minicar. [Ringrazio la Fondazione Ania per fare delle pubblicità così realistiche da farmi venire il terrore di salire su un veicolo ad ogni ora della notte e del dì].
Non mi va di essere responsabile di ogni singolo segno che rechi il mio nome, quando prima lo scrivevo ovunque solo per divertimento. Ed inoltre, non mi va di ricordarmi come l'ho scritto la volta precedente: scommetto che cambierò almeno 5 volte la firma.
Non mi va di essere legittimata a comprare alcolici e sigarette; e non mi va di vedere occhi strabuzzati quando dico che sono astemia.
Sinceramente non mi va nemmeno di fermarmi a parlare coi tizi dell'UNICEF, del WWF, dell'antidroga e chi più ne ha più ne metta...
Diciamocelo. Ragazzi miei, essere minorenni è più che comodo. Mamma e papà danno sicurezza, e appena sentono la parola "minorenne" gli adulti ti lasciano in santa pace.
Ma come tutte le belle cose, prima o poi finisce anche l'infanzia. E se c'è bisogno di prendere le proprie responsabilità, così sia. 
Alla fin fine, maggiorenne o meno, mi basta abbracciare la mia mamma, il mio papà, il mio fratellino, o anche solo il mio pupazzo, chiudere gli occhi, e ricordarmi che per loro sarò sempre una bimba.
E queste che vi racconto sempre favole, per fare in modo che nessuno di noi cresca tanto da sopprimere la parte fanciullesca che è in noi.

Il bambino che non gioca non è un bambino, ma l'adulto che non gioca ha perso per sempre il bambino che ha dentro di sé. Pablo Neruda

Che dire... In bocca al lupo a me. E giocate finché potete, anche se siete fuori "limite massimo"!
Ivy, ormai rinsecchita come una prugna

PS: il primo che mi consiglia un Sexy Shop può benissimo tornare a giocare con le Barbie e le Hot Wheels.

martedì 10 febbraio 2015

Lo pseudolatitante al casinò

Buongiorno cari lettori! È giunto febbraio, e sta scadendo il conto alla rovescia per la mia funesta ora... quando non potrò più fare concorsi per minorenni!
Intanto, buona giornata con questo racconto comicamente poliziesco :*

Il commissario Doriani era chino sulla sua scrivania.
Leggeva con l'aiuto di una lente d'ingrandimento ciò che aveva scritto il suo nipotastro, Francesco Gregoretti, all'ultimo anno di criminologia. L'età avanzata non gli permetteva più la libertà di lettura, così la lampada da interrogatorio tramutava il foglio da bianco sporco a bianco fosforescente.
Francesco attendeva con ansia che Doriani finisse di leggere la sua tesi di laurea: da quella sarebbe dipeso il suo futuro, e sperava vivamente che tutto fosse corretto ed all'altezza della situazione.
Ma il commissario da ormai una settimana leggeva una parola al minuto, colmando d'ansia il cuore del povero Francesco.
In quell'aria colma di tensione bussarono alla porta: l'allievo represse uno sbuffo.
Con lentezza snervante, Doriani si tolse gli occhiali. - Avaaanti! - belò.
Un giovane con Ray-Ban sul naso (malgrado fossero all'interno del commissariato) e giubbotto di pelle (malgrado fosse un maggio piuttosto afoso) entrò masticando la chewing-gum vistosamente, al limite dell'educazione.
Era Diogene Gengetti, detto DiGei dagli amici, figlio del procuratore nonché scemo cronico.
- Commissà - biascicò - m'hanno detto che mi aveva chiamato. -
Sempre con estrema lentezza, Doriani s'appoggiò allo schienale della poltrona di pelle. - Non... Ricordo. Aaaaah, si, già già giusto, volevo sapere se avete scoperto chi era al vertice dello spaccio di droga nel quartiere dietro alla chiesa di San Pietro. Dimmi, si sa? -
DiGei sbadigliò visibilmente. - Seeee, dovrebbe essere un latitante... Corradelli. -
Doriani balzò in piedi, ripetendo il nome ad alta voce.
Quando si tratta di latitanti è un razzo. Ma per il mio futuro...
- Gengetti! E quando volevate avvertirmi? -
- Ahemmm... Ora? -
- E dove si troverebbe? Avete scoperto anche questo? -
- Naaah. Cioé, dovrebbe essere al casinò, però nessuno ci vuole andare, ed io sono stato esiliato a vita... avevo truccato la roulette! - ridacchiò.
- Ci serve un infiltrato... TU! - esclamò Doriani indicando Francesco.
- I-io? - balbettò questo. Non solo non mi corregge la tesi, ma vuole pure mandarmi in un covo malavitoso! - Ma non so nulla del caso, non conosco Corradelli, non sono della squadra... -
- Oh, sciocchezze! Proprio perché non sei della squadra sei perfetto! Così nel frattempo... AH, la schiena! - Doriani si piegò al'indietro: nell'impeto qualcosa aveva ceduto. - Dicevo, nel frattempo leggerò la tua tesi, così farai questa maledetta laurea e sarai in squadra! Ci stai? -
Con gli occhi a cuoricino, Francesco accettò entusiasta. Cosa poteva andare storto?

Uscendo dall'ufficio, dopo aver rimesso seduto il commissario, Diogene e Francesco s'avviarono verso la sala dove quest'ultimo avrebbe imparato le nozioni base sull'operazione.
Nel frattempo, Francesco provò a biascicare due parole.
- Roulette, eh? Almeno hai vinto? -
DiGei rise sguaiatamente. - Machettepare? Fratello, io non so fare nemmeno uno più uno! -
Francesco era confuso. - Ma allora... Perché non vai tu sotto copertura? -
Diogene si tolse gli occhiali. Sotto l'occhio destro aveva tre piccole stelle tatuate, che risaltavano gli occhi verde cupo. - Dì, ragazzino, hai idea di che giorno è oggi? -
- Ahemmm... Sabato? -
- Oggi apre il CocktaiLounge, fratello! Si fa serata! - e rimettendosi gli occhiali simulò un balletto tamarro in mezzo al commissariato.
Francesco stava per ribattere, quando una brunetta bassa e magra gli si affiancò. - Tu devi essere Francesco, lo studente sotto copertura! Io sono Ginevra, verrò con te nell'operazione "Cervelli sniffati". - Abbassò il tono. - Detto fra noi, il nome l'ha deciso Diogene. Comunque, - riprese il tono normale, - malgrado la disgustosa dicitura l'operazione è serissima. Vieni! -
Lasciarono DiGei a ballare su note invisibili ed entrarono nella stanzetta angusta. Vi padroneggiava un proiettore di fronte ad una fila di sedie divise in due colonne.
Si sedettero in prima fila e Ginevra azionò il proiettore.
Comparve un uomo magrissimo, dalla pelle diafana e uno sguardo che probabilmente sarebbe dovuto essere arcigno.
Francesco scoppiò a ridere.
- Scusami Ginevra, però in anni di studi non ho mai visto questo essere! -
- Perché è un latitante... "locale", ecco. E'... il fratellastro del commissario. -
- STAI SCHERZANDO? Zio Nino? - impallidì Francesco. - Ma il cognome diverso... Sono diversi! -
- Eppure te l'assicuro. La latitanza si limita all'essere sfuggito dalle mani del fratello: ufficialmente è un uomo libero. Che spaccia droga, ma libero. Il nostro compito è riportarlo da Doriani... E arrestare gli altri. -
- Per quale motivo non dovremmo arrestare anche lui? Solo perché è imparentato col commissario? Scusami, non è corretto. -
- No... Ma lui è solo una maschera sfruttata dai veri spacciatori. Usano a loro favore l'Alzheimer che affligge il povero Nino per manovrarlo come marionetta nel mondo della criminalità. -
- Capisco. E come ci infiltreremo? -
- Innanzitutto tu ti vestirai da perfetto boss italoamericano: camicia, cravatta, cappello. Sono rimasti indietro anche con la moda... - Ginevra alzò gli occhi al cielo. - Ti intrufolerai nella sala, e giocherai come se nulla fosse. Avrai una microcamera addosso. Appena dicono qualcosa sulla droga, interveniamo. -
- Ed io? -
- E tu avrai una pistola, e se necessario (solo se necessario) interverrai. -
- E se mi scoprono? -
- Ci sono io. E la squadra fuori. -
- Ma tu cosa farai? -
Ginevra divenne bordeaux, poi balbettò: - Io... Io sarò... Sul palco. -
Francesco sorrise: - Non serve che ti agiti. Penso che tu sappia cantare benissimo, o non ti farebbero salire! -
- No... - mormorò lei - Non... canto. Io... ecco... farò... -
- Cosa? Danza? Recitazione? Hula hop? -
- ...Pole Dance. -

Francesco non riusciva a concentrarsi sul gioco. Aveva già perso 500 euro, e ora ne stava perdendo altri 500. Ma come poteva concentrarsi, con Ginevra che ondeggiava davanti a lui?
Grazie al cielo non era l'unico.
- Minchia Peppe, hai visto che culo? -
- Io guaddo più in alto Tonino! -
- Moviti, moviti... - Qualcuno improvvisò un battito di mani a ritmo.
Francesco, ormai al limite della sopportazione, stava per ribattere, quando entrò nella sala Corradelli.
Ora devo guadagnarmi la tesi.
Lo pseudolatitante si sedette giusto di fronte a lui.
- Peppe! Non sai gggiocare, vergogna! E io dovrei affidarti la robbba? Tu me la perdi, sicuro! -
Il Peppe in questione gli tirò un calcio sotto al tavolo.
- Ahia! - urlò Corradelli - mica dico dov'è! -
- Nino taci o ti tagghio la lingua! Capisti? -
Francesco, diviso tra Ginevra e Corradelli, nemmeno si accorse di aver vinto una mano.
Almeno ho recuperato 1000 euro, pensò.
- Comunque - riprese il latitante appena spiumato, - Rossella, la fornaia, quella bella, ha detto che se vogliamo far circolare lì la robba la... spaccia per farina! T'è piaciuto il gioco di parole Tonino? -
In quell'istante la porta s'aprì di scatto e Doriani, in forma come non mai, irruppe con la squadra. - A me si, Ninuccio! Mani in alto! -
Ginevra era scesa dal palco e aveva inforcato l'arma come i compagni. Istintivamente, anche Francesco la seguì.
Corradelli rimase a bocca aperta, facendo cadere le carte - pure truccate... Non sapeva vincere nemmeno con quelle.
- Dodò! Dove sei finito tutto questo tempo? -
- Alla narcos, idiota! E ti faccio sapere che hai davanti tuo nipote, mio collega! -
Corradelli si girò verso Francesco, che iniziò a temere. Ma non tremò.
- Ciccio! Sei tu? Mariiiia come crescesti! Si propriu beeeeddhu! -
Francesco arrossì, senza smuovere l'arma da davanti a sé. Ginevra e qualcun altro soffocarono le risate.
- Zio Nino, ti dichiaro in arresto per spaccio di sostanze stupefacenti. -
DiGei si avvicinò, senza fretta, rigirando le manette. - E pensare che qui non potevo entrarci...! - Le mise a Corradelli, poi se ne andò fischiettando.
Tutti i malviventi furono presi, Francesco raggiunse Ginevra e le mise la sua giacca addosso. Lei ringraziò, poi lo squadrò. - Sai che non potevi arrestarlo, vero? -
- Si, ma se ora accetti di uscire con me ne sarà valsa la pena! -

Alla fine, la tesi di Francesco faceva schifo, e fu letta dalla ragazza... e corretta.
Doriani andò in pensione due giorni dopo, DiGei continuò a non fare un tubo.
Ma Francesco entrò in squadra comunque.

V'è piaciuto? Allora commentate!
Non vi è piaciuto? Allora commentate!
Pensate che dovrei darmi all'ippica? Commentate comunque!
La vostra Ivy

venerdì 30 gennaio 2015

Abbraccio

Non ci voleva molto per capire che Barbara non era contenta di essere lì. Si dondolava svogliata sulla sedia. Mangiucchiava la penna. Faceva palline di carta. Sbuffava.
In un momento di massima irritazione, iniziò a lanciare le suddette palline in testa di un poveraccio lì davanti. Quello irritato le lanciò una matita. Questa atterrò senza colpire il bersaglio, sbattendo l'estremità temperata e quella ancora integra, con tale forza che la mina giallo canarino si ruppe e rotolò ai piedi di Barbara, sotto una delle gambe della sedia. Appoggiandosi sopra ad essa, la gamba la polverizzò.
"Venardi".
Barbara mormorò un "alleluia" e si alzò,  facendo stridere la sedia maledetta, che lasciò una scia gialla sul pavimento immacolato.
La ragazza la guardò. Invidiava il pastello: poteva temperarsi, recuperare la parte migliore di sé, tornare a splendere ancora. Lei come poteva fare?
Furono poche domande grazie al cielo, poi la rilasciarono. Lo smog sapeva di libertà.
Corse verso la metro, per un pelo non la perse. Si gettò sul sedile, mise le cuffie bianche e sparò la droga a volume massimo. Una nonnetta lì vicino non apprezzò, quella musica molesta, musica da cattiva ragazza, interrompeva la sua lettura di Hannah Arendt.
Barbara mise in bocca un chewing gum ed iniziò a fare bolle; tirò fuori l'Iphone, la cover rosa confetto, e ticchettò le unghie sullo schermo cercando due o tre cose. Un ragazzo le chiede se aveva un accendino: "Scusa" rispose, "Ma che fumi in metro?". Quello se ne andò.
Giunse la sua fermata, scese. Un anziano le si avvicinò: Barbara posò il cellulare, le cuffie, s
putò la chewing gum, e già che c'era si lisciò anche i leggings.
"Nonno."
Lo abbracciò. Tutto il resto non contava.

Credo che si possa concentrare in poche parole tante sensazioni.
Spero di aver fatto ciò in quest'ultimo testo.
Se così fosse, commentate.
Se così non fosse, idem.
Buonanotte :*
Ivy

martedì 20 gennaio 2015

D'impulso

Fissava il soffitto da un bel po'. Effettivamente da molto. Iniziava a pensare che lo avrebbe bucato con lo sguardo.
Sollevò la testa, guardò la sveglia di SpongeBob. 18.
Tornò sul cuscino. Era presto. Da un altro punto di vista, tardi.
Sollevò meccanicamente la mano, fece toc toc sullo schermo del suo LG. Strizzò gli occhi, la luce bianca era parecchio forte.
Niente.
Ripiombò sul giaciglio. Iniziò a tamburellare in modo fastidioso sul comodino vicino, finché, stufa di se stessa, prese le cuffiette azzurro cielo ed inserì il jack nel cellulare. Azionò la ripetizione casuale, e chiuse gli occhi.
Peggiorò la situazione.
Accettami e vedrai, insieme cresceremo, qualche metro in più ed il cielo toccheremo... per quanto mi riguarda ho già fatto il biglietto, ti prego non lasciarlo accanto ad un sogno in un cassetto... è una semplice canzone, che serve a me per dirti che sei una su un milione...
Strappò via le cuffiette e si sedette. Non scriveva? Bene! Non aveva tempo di aspettare i suoi comodi!
Scese dal letto. I piedi caldi soffrirono il freddo, e costrinsero l'istinto a farli andare sul soffice tappeto vicino.
Si strofinò le braccia. Faceva freschetto in effetti... e a casa non c'era nessuno, poteva schiacciare un pisolino... il piumone sembrava invitante.
NO!
Saltellò da un piede all'altro, fino a raggiungere l'armadio. Sbattè il mignolino contro la gamba del tavolo, facendo anche cadere dei libri, che si sommarono ai vestiti che aveva tolto tornando a casa. Non imprecò nemmeno; non c'era nessuno a sentirla, e i suoi pupazzi non dovevano imparare parolacce.
Guardò senza vedere ogni singolo vestito. Ogni maglioncino, ogni pantalone, ogni foulard. Ogni cosa era legata ad un ricordo preciso, oppure aveva già pianificato di metterla in una certa occasione - e fino ad allora doveva arrivare intonsa, non poteva metterla a caso.
Finito di fantasticare - una felpa scivolò dalla gruccia, interrompendo l'armonia dello scenario - prese il felpone traditore ed un paio di jeans, con i passanti stracciati ed un buco sul ginocchio. Un paio di sneaker, il piumino, una sciarpa di lana.
Chiavi di casa in mano, chiuse tutte le finestre e le luci ed uscì. Però, faceva proprio freddo.
Aveva da poco iniziato a nevicare, ed a terra già c'era la classica poltiglia fangosa che faceva ciap ciap sotto ai piedi. Male, non poteva correre.
Guardò per l'ennesima volta l'orologio. È una pazzia, si diceva, non sai nemmeno se l'orario è corretto, se vuole vederti, se non ha di meglio da fare che vedere te... Per un attimo, pur di convincerla, l'inconscio le ricordò la verifica di storia del giorno successivo; di contro, lei si mise a ripassare date e nozioni sottovoce. Qualcuno passando la guardò come una pazza. Ma chissenefrega.
Svoltò l'angolo, e non vide alcuna corriera. Era arrivata in tempo.
Si sedette sul muretto lì di fronte, tremando più di coraggio che di freddo. Aveva una visuale perfetta, senza farsi notare: bastava vederlo, cinque minuti, non erano molti, nessuno lo avrebbe notato.
In quel momento si avvicinò il mezzo di trasporto. Il cuore cominciò a rotearle come le quattro ruote, che si fermarono appena in tempo, evitando una nonnina che protestò calorosamente.
Lei iniziò a sbattere i piedi contro il muretto. Iniziò a mordersi il labbro, poi sostituito dalle pellicine. Iniziò con l'altra mano a far roteare i capelli.
Lui scese. Salutò un amico con il cinque, un'amica con un cenno. Poi mise le cuffiette e si avviò.
Bene. Visto.
Visibilmente soddisfatta, intimamente delusa, scese dal muretto, mettendo male il piede.
Stavolta imprecò. E lui, quasi fosse riuscito a sentirla, anche attraverso la musica, si girò. Nel riconoscerla sorrise, attraversò la strada e le si parò davanti.
- Giulia! Ciao! - Bacio. Labbra in fiamme. - Che ci fai qui tesoro? Non ci eravamo dati appuntamento alle 21? -
Lei gli si aggrappò al collo, come il koala Ciuffo della Kinder. Al diavolo. - Mi mancavi. -
Buon pomeriggio lettori!
Sembra che la primavera degli ammmori si insinui sotto il gelo di gennaio... Tanta gioia e felicità alle nuove coppiette, ben arrivate!
Ed a voi è dedicato questo racconto, a quando la voglia di vedere qualcuno è tanto forte che nessun ostacolo può fermare una persona...
Un bacione!
La vostra Ivy

domenica 11 gennaio 2015

Je suis Charlie

Cari lettori,
Credo (e spero) che sia quasi offensivo chiedervi se conoscete la vicenda definita dai Mass Media "i tre giorni di terrore di Parigi". Due terroristi, addestrati nello Yemen, con un terzo complice a coprir loro le spalle in un paesello vicino, hanno fatto una strage - ben 12 morti - nella redazione del settimanale di vignette satiriche Charlie Hebdo. Si sono proclamati "vendicatori del Profeta", in quanto Charie Hebdo ha pubblicato vignette contro Maometto. 
I tre ora sono stati uccisi. Come le 12 persone uccise nella redazione, i 4 clienti uccisi in un supermercato ebraico, la poliziotta.
Ora.
Conoscete la mia fede. E sapete che mi schiero contro chiunque bestemmi o insulti la mia religione, e volendo anche quella altrui. 
E Charlie Hebdo ha pesantemente ironizzato su tutte le religioni, cristiana compresa - se non al primo posto.
Lo condannerei senza precedenti. Lui e la sua redazione. Scriverei una di quelle lettere eterne su come io non insulti il loro credo, e dunque loro dovrebbero lasciare in pace il mio. Su come danno un pessimo esempio ai loro figli ed ai loro nipoti, su come sia contraddittorio il loro senso di libertà con le offese che arrecano.
Però.
Però a volte si sceglie il male minore. A volte ci si schiera col proprio nemico per affrontare quello comune. E questo è uno di quei casi.
Anche io, in quanto proprietaria di un blog che esprime la propria opinione liberamente e senza censure, urlo Je Suis Charlie.
Perché non è possibile nel 2015 che 17 persone, 17 civili, 17 innocenti, dei quali più di metà non sapeva nemmeno il motivo di tutto ciò, escano di casa, magari semplicemente borbottando un "ciao" frettoloso, se non incazzato, ai propri cari, e vadano a lavoro, o ancora più innocentemente a fare la spesa - perché il giorno dopo è festa, non si può - e non tornino più a casa perché tre menti malate, guidate da menti altrettanto - se non di più - malate, che finanziano missioni suicide in nome di ... qualcuno, per far tornare il mondo ad uno stato di medioevo perenne, hanno deciso di farli fuori!
Io mi discosto dalle idee di Charlie Hebdo. Ma come i redattori di Charlie, voglio poter dire la mia senza rischiare di dover salutare la mia famiglia ogni giorno come se fosse l'ultimo, e voglio girare per le strade senza guardarmi attorno in modo furtivo, e voglio poter pregare Dio senza pensare che qualcuno potrebbe irritarsi, e voglio accendere il televisore e non vedere turbanti che minacciano la mia Italia!
Perché ora c'è Charlie Hebdo. Ma ci sono state le Torri Gemelle. C'è la Siria, c'è tutto il Medio Oriente.
E domani, cosa ci sarà? Cosa colpiranno?
Molto semplice. Puntano al Vaticano. In un certo senso, casa mia
E il problema è che le manifestazioni silenziose, i messaggi di sostegno, i "Je suis Charlie" su ogni muro, su ogni giornale, su ogni fiocco nero, i minuti di silenzio... Non. Servono. A. Niente.
Siamo incapaci, ma non "inetti", proprio "impossibilitati". Viviamo come se non succederà nulla, pur sapendo che da oggi a domani potrebbe scoppiare una guerra, e tutto ciò che abbiamo potrebbe saltare in aria, e non si sa nemmeno il perché.
Infine. Prima o poi moriremo tutti, giusto? Facciamolo con dignità.
Oggi "Je suis Charlie". Dal 14 gennaio, quando ricominceranno ad offendermi, no.
Diamo libertà di parola a tutti... Ma che tutti soppesino ciò che dicono.
La vostra indignatissima,
Ivy


PS: Ho notato che abbiamo raggiunto uno stupendo " 11.111". Grazie dal profondo del mio (un po' crepato) cuore.

sabato 3 gennaio 2015

La misura della felicità

Penny saltellava da una stanza all'altra, cantando "La bella lavanderina" con voce così stridula da rischiare di rompere i vetri. 
C'era il sole quel giorno, era da tanto che non tornava a salutarla. Per ricambiare il saluto, Penny si sdraiò su un raggio, per terra. Per ricambiare a sua volta, e non venire schiacciato, il raggio le andò sopra, solleticandole lo sguardo.
- Penny, rialzati. - La mamma la osservava di sottecchi, stava stendendo il suo maglioncino azzurro con una mollettina rossa ed una marrone. 
- No - urlò Penny.
La mamma si girò sorpresa. - Penny, ti ho detto di... -
- NO! - urlò di nuovo Penny, si alzò e tolse le due mollettine. - Non mi piacciono rosso e marrone. Le voglio blu, o bianche.
La mamma sorrise a braccia conserte. - Va bene. Mettile tu. -
Penny trotterellò fino alla cucina e prese una sedia. Inarcò la schiena e camminò in modo goffo fino allo stendino; la poggiò lì, vi si arrampicò e prese due mollette, una blu e una bianca, da mettere sul maglioncino. Una, non appena la aprì, si ruppe; l'altra fu messa al centro del maglioncino.
- Uffa - borbottò Penny. Stava per scendere dalla sedia, quando vide l'ombra una bimba sorretta da un uomo, con in mano un aquilone a forma di libro. Non sapeva leggere molto bene, ma ci provò: - Llll...a misss...surr...rra deee...elllllla feee...lllliccc....itttta*. La misura della felicita? -
- Della felicità amore. -
Penny si sedette a gambe incrociate sulla sedia. - Ma mamma, quel libro è un metro di felicità? -
La mamma si inginocchiò di fronte a lei, nasino contro nasino. - No, Penny. Questo è solo un libro. -
- Ma allora come si misura la felicità? Lì te lo spiega? -
- Prova a spiegarlo, ma ognuno ha il suo metro personale. -
- Ah, si? E quale è il mio? -
- Non lo so. Trovalo. -
Penny si fece pensierosa, scese dalla sedia e la riportò in cucina. Poi, sempre pensierosa, gattonò nello sgabuzzino, dove la mamma teneva il materiale per il cucito. Si punse con un ago, si incastrò tra un filo rosa ed uno grigio, dunque trovò un metro giallo da sarta. 
Si sedette a terra, e lo studiò. Col ditino toccò un numerino per uno... - Uno, due, tre, cinque, sei, sette, dieci... No, il dieci sono due numeri! ... Allora cinque, sei, sette, undici, dodici, dieci... Boh... - Si grattò la testa con lo stesso ditino, e iniziò a leggere tutto ciò che non erano numeri. C'era la marca, la scritta "misura per sarti", e... Basta.
- Felicità non c'è - borbottò lei. Ma certo! Quella era la misura per sarti, non quella della felicità.
Ripose a modo suo il metro e andò in cucina. Mamma misurava la farina con la bilancia. La felicità è come la farina? 
Si arrampicò sulla stessa sedia di prima, allungò la mano e... buttò la scatola delle uova. Ops.
Si sbilanciò sul bancone... E seguirono cereali, mestolo, zucchero e limoni, che rotolarono fino... ai piedi della mamma. 
- Penny! Che diamine stai facendo? -
- Prendo la bilancia! - Finalmente ci arrivò, la prese e sorridendo andò in camera sua. Alla mamma non rimase che sospirare e raccogliere il tutto.
Sul tappetino rosa, Penny la osservò. Serviva per pesare. Ma come si pesa la felicità?
Scrisse su un foglio la parola, poi lo mise dentro. Non pesava.
Chiamò la sua bambola Felicita (- Scusa Rebecca, poi tornerai col tuo nome! -) ma le sembrava ancora pochino.
Nel dizionario c'era la parola "Felicità", ma c'era anche "Tristezza", "Dolore", "Lacrime". Non poteva pesare tutto assieme. 
La bilancia non andava bene.
Penny sbuffò, prese Felicita/Rebecca e andò in bagno. Raccolse la bilancia pesapersone e la scosse. La rigirò, premette dei pulsanti ma comunque quella non si trasformò in una misura felicità.
Cambio.
Andò nel cassetto delle medicine e prese il termometro, se lo mise sotto l'ascella ed attese. Lesse: 35.5.
- Magari sono felice solo fino a 36! - Ma poi pensò che quando saltava scuola perché aveva la febbre era comunque felice.
Era impossibile.
Crollò sul pavimento ed iniziò a piangere.
La mamma accorse. - Penny, tesorino mio, che succede? -
- Non sono feliceeee! - piagnucolò la piccola.
La mamma la cullò a sé fino a quando non si calmò. - Va meglio? -
- Si... Mammaaspettastaiinsilenzio! -
Penny appoggiò la manina e l'orecchio al petto della mamma. Tum-tum, tum-tum, tum-tum.
- Mamma... Ho capito! -
- Cosa, tesoro mio? -
- La misura della felicità. È quanto ti batte il cuoricino, vero? -
La mamma le baciò i capelli. - Si piccola mia. Si chiama amore. -


* Non ho letto il libro, questo post non vuole in al

cun modo esserne una trama o una rivisitazione. Era solo uno spunto, un imput. Quando lo leggerò, se vorrete, vi farò una recensione, o una FanFiction.


Buon 2015 miei cari lettori! 
Come va? Spero, come sempre, alla grande!
Io dovrei studiare... Ma è in questi momenti che mi viene l'ispirazione maggiore!
Smaltito il Capodanno?
Anno nuovo, palestra nuova! Smaltire suuu...
Spero che la piccola Penny vi sia piaciuta.
Un bacione immenso,
Ivy