. . . All you life, you were only waiting for this moment to be Free . . . * Nulla enim culpa est in somnis.

domenica 30 settembre 2012

Sfida: CACCIAVITE A CROCE

Salve gente!
Una mia pazza amica (Elena, che saluto) mi ha dato la parola di oggi... CACCIAVITE A CROCE. Giuro che non le ho dato io le sostanze stupefacenti che l'hanno indotta a consigliarmi codesta parola.
Ook, ma bando alle ciance, ciancio alle bande (come dice Bonolis) ed iniziamo questa nuova avventura!

Scandalo a Rickdohm: ucciso il sindaco. Iniziate le ricerche dell'assassino, la polizia brancola nel buio.

Mitchell buttò il quotidiano nel cestino, poi s'accese una sigaretta. Il monitor del suo portatile segnalò una nuova mail, che aprì in modo quasi febbrile. Nulla di nuovo, pensò.

Spense la fioca luce sulla scrivania, prese il cappotto dall' appendiabiti ed uscì. Il vento sferzò il viso ricoperto di cicatrici, le mani rugose, le scarpe logore.
Da cinque giorni tentava invano di trovare una soluzione al crimine del secolo. Il sindaco Rutherford era stato barbaramente trucidato, e dell'assassino non c'era alcuna traccia. Non un'impronta, non un segno d'effrazione. Si suppone sia stato un uomo molto robusto, vista la profondità delle ferite.
Unico indizio, l'arma del delitto, lasciata infilzata nel torace: un cacciavite a croce.
Ciò faceva supporre che l'assassino fosse stato uno dei meccanici del paese, ma questi avevano un alibi di ferro: il raduno delle auto d'epoca a Dorningham Street, proprio dove doveva andare il sindaco prima di essere ucciso, e proprio dove il direttore della polizia in persona l'ha sostituito.
Mitchell aspirò una boccata, poi s'incamminò verso il pub di sua sorella. Quel direttore non gli era mai piaciuto. Era così altezzoso, legato ai soldi ed al potere... L'opposto dell'ispettore Mitchell Bones, sempre leale alla divisa e che sperperava i suoi soldi tra pub e regali a sua moglie Clara.
Arrivato a destinazione, non si stupì quando vide la sua consorte dietro al bancone con la cognata Kate. Clara non era mai stata un tipo tranquillo, e nemmeno al sesto mese di gravidanza si sarebbe fermata.
- Vuole una birra, forestiero? - chiese con un sorriso radioso.
- Magari... Giornata stressante. - rispose lui, massaggiandosi le tempie.
La moglie uscì dal bancone e cinse le spalle del marito. - Ancora quell'assassinio? -
- Si. Non ne riesco a venire a capo... Io sono certo che mi sta sfuggendo qualcosa. Ma diamine, chi non ha a casa un'oggetto come un cacciavite a croce??? Al massimo non lo avranno a croce ma a taglio... -
- Sssh, tranquillo. Ci ripenserai domani. - lo interruppe lei. Ma Mitchell non era un tipo che mollava facilmente.
- Potrebbe essere stato chiunque. Voglio dire, un cacciavite! Magari era proprio della vittima... -
- Basta! - tuonò la sorella Sarah, avvicinandosi con un boccale di birra in mano. - Se devi venire qui a pensare al lavoro, vattene! -
In quel frangente fece la sua apparizione il collega di Mitchell, Jones.
- Ehilà Mitch - lo salutò questi. Poi si rivolse alla sorella: - Sarah, me la faresti una birrettina? -
- Subito! - esclamò lei.
Jones si sedette su uno sgabello, mentre Clara ritornò dietro al bancone. Mitchell bevve una sorsata, poi si girò con aria stanca verso il collega.
- Ti prego, dimmi che ci sono novità... -
- Si - rispose l'altro bevendo a sua volta. - Ti ricordi Tess Loners, la bomba sexy delle Spicy Sox? -
- La cheerleader? -
- Esatto. Bhe, è diventata l'aiutante di Usher, il meccanico di Boston. Ed il giorno del delitto Usher disse che era malata... -
Mitchell si alzò di scatto, una scarica di adrenalina nelle vene. - Allora che aspettiamo? Andiamo ad interrogarla! -
- Non così in fretta - replicò Jones svuotando il boccale. Lo posò sul bancone con un tintinnìo, poi si asciugò la schiuma con la manica dell'impermeabile. - Il direttore Johnson ha detto che non potremo interrogarla prima di domattina. Dovremo aspettare bello.-
Mitchell lanciò un calcio al suo sgabello, guadagnandosi uno sguardo furente dalla sorella.
- Perché quello stronzo si mette sempre in mezzo? -
- Calmati, Mitch... - tentò invano di calmarlo il collega.
- Calmo un corno! - esclamò lui, uscendo dal locale sbattendo la porta. Sarah chiese scusa ai clienti, esterrefatti per l'accaduto. Clara andò a consolarlo.
- Su, su... - gli disse, massaggiandogli le spalle. - Domani la interrogherai. -
- Io sento puzza di bruciato - replicò lui - Quel tipo non me la racconta giusta. Vedremo chi deve proteggere impedendoci di interrogare Tess. - E così dicendo, rientrò nel locale.

L'indomani, Mitchell e Jones si presentarono alla porta di Tess Loners, una villetta in stile italiano. I due agenti si chiesero come faceva una venticinquenne aiutomeccanico a permettersi un luogo del genere. Cosa decisamente sospetta.
Bussarono, suonarono, ma di Tess nemmeno l'ombra.
Così, arrabbiati neri, fecero per andarsene, quando Jones indicò a Mitchell qualcosa. O meglio, qualcuno. 
Una giovane brunetta stava scendendo da una limousine, tacchi vertiginosi in mano, piastra lievemente disfatta, trucco sbavato, vestitino stropicciato. Chiuse la portiera e si avviò verso casa zoppicando.
Quando vide i poliziotti, indugiò sulla soglia; non appena Mitchell fece un passo verso di lei, essa scappò via, dando vita ad un inseguimento degno di CSI. Ma Mitchell e Jones non erano Starsky ed Hutch, e così la ragazza riuscì a fuggire.
- Tutta... Colpa... Del... Fumo... - disse Jones col fiatone.
Mitchell, persona da poche parole, si limitò ad imprecare, le mani sulle ginocchia.

Passarono due giorni, e di Tess Loners nemmeno l'ombra. Fiotti di pattuglie setacciavano tutta la città in cerca della ragazza scomparsa: unico indizio finora trovato, una lettera di minacce, senza impronte né DNA, nel cassetto dell'immondizia di fronte alla villetta.
Mitchell s'era già scoraggiato la mattina in cui arrivò una telefonata: una Tess spaventata e rauca chiedeva aiuto. Diceva che credeva di essere al vecchio porto, e che una persona molto influente la stava ricattando, e per di più uno dei suoi scagnozzi era lì a terra, ucciso dalla sua stessa pistola dopo che aveva tentato di costringere la ragazza a giocare alla roulette russa.
Ammetteva di aver ucciso il sindaco Rutherford, con cui aveva una storia, e mormorava che per lei era troppo tardi ormai. Un urlo agghiacciante, uno sparo, un tonfo. Cadde la linea.

Mitchell e Jones accorsero immediatamente sul luogo da cui proveniva la chiamata. 
La pozza di sangue usciva dalla fenditura della porta del vecchio capanno dei pescatori, ed il suo odore acre e putrido si mescolava al fetore del pesce in decomposizione, rendendo l'aria irrespirabile.
Mitchell s'avventurò nell'angusto capanno, scavalcando il corpo inerme del presunto rapinatore. Più  avanti, due corpi: una era Tess, in mano una gamba di una sedia ed un foglio; l'altro era il direttore Johnson.
Sulla lettera, solo poche parole:
La carogna è morta. Rutherford è stato vendicato.
Sotto, un cacciavite a croce.

Allora, me la cavo anche coi gialli? See you soon!
Ivy

venerdì 21 settembre 2012

Sfida: RANCORE

Salveee!!!
Vi premetto subito che ho un'orribile pseudo-tendinite alla mano destra, perciò scriverò con la sinistra... E pertanto sarò MOOOLTO lenta.
Secondo, vorrei festeggiare con voi:


 

Grazie mille!
In ogni caso, abbiamo una nuova parola (grazie Milly!) : la parola, anzi, il parolone di stamane è Rancore. Un'emozione pesante, difficile da sopportare, che talvolta sfocia in disperazione, se non in qualcosa di ben peggiore... Iniziamo.

Sole. Luce ovunque. Ombre pressoché inesistenti. Risate gioiose, sorrisi splendenti, musica allegra, dolci baci. Tanto. Troppo da sopportare. Perché il mondo non si sentiva come lui? Perché ove dovevano esserci ombre e disperazione aleggia la gioia?
Antonio non si dava pace. Si contorceva le mani, digrignava i denti, piangeva lacrime amare. Da quel giorno non era più uscito di casa, se ancora così si poteva definire quel luogo freddo, buio ed inospitale, pieno di polvere e ragnatele, coi pesanti tendoni di velluto dell'Ottocento tirati davanti alle ampie finestre e i divani di broccato coperti da teli di nylon, come se questo rendesse la stanza più pulita.
La camera di Marie era ancora chiusa a chiave. Non aveva il coraggio di vederla, non dopo quello che era successo solo una settimana prima.
Ma come poteva vivere, con quel peso sul petto?

Dling dlong!
Una voce roca e cavernosa tentò di urlare un "Marie!", ma ne uscì solo un suono indistinto, soffocato da un colpo di tosse grassa ammortizzata con un fazzoletto. 
Per fortuna, la giovane era nella biblioteca vicina. Spolverandosi le mani nel grembiule, si avviò verso il portone d'ebano.
"Chi va là?" chiese guardinga. In quel periodo stavano succedendo molte strane cose. Meglio essere prudenti.
"Antonio Benvenuti, signorina. Sono l'aiutante del dottor Blanchard. Il dottore vi aveva avvertito..."
Marie tolse in fretta il catenaccio con foga e girò il pomello. "Grazie a Dio siete qui! La bronchite è peggiorata, e... Siete italiano per caso? Si nota dall'accento. Venite con me, seguitemi!!"
Entrarono in uno stanzone buio, pieno di cimeli antichi. In mezzo alla camera c'era un letto a baldacchino amaranto, e sopra le coperte giaceva un vecchio, corroso dall'età e dalla malattia. La figlia corse al suo capezzale.
"Padre, è arrivato il medico... Suvvia, adesso vedremo che cos'avete. Orsù, padre, niente moine!" e lo sollevò leggermente. 
Antonio si avvicinò, aprì la valigetta di cuoio e auscultò il petto dell'uomo. Poi sorrise a Marie.
"Tranquillizzatevi, sembrerebbe in via di miglioramento! E' normale che la tosse peggiori leggermente, ma continuate a dargli le cure e pregate. Sono gli unici due modi per guarire!"
"Grazie mille! Ma... dottore, è possibile che v'abbia già visto da qualche parte? Mi sembrate familiare..."
"Potrebbe essere. Non sono da molto a Parigi, ma faccio lunghe camminate per le vie della città."
In quel mentre il portone si spalancò, facendo sobbalzare i due giovani. Nell'atrio angusto irruppe una donna bassa e grassoccia, che passava a malapena dal corridoio, con un cappello pieno di piume ed un soprabito color crema che le stava scoppiando addosso.
"Marie, tesoro! Perdonami, c'era una magnifica offerta da Madame Dumas... Ma chi è questo giovine? Piacere, Magdalen, la madre di Marie. E lei è..."
Antonio, spiazzato, tese la mano e strinse le dita simili a salsicciotti. "Sono il dottor Benvenuti, signora Lacroix, l'aiutante di..."
"OOOH, ma adesso ricordo! Posso chiamarvi Antoine? Fa molto più francese... Françoise mi aveva avvertita del fatto che sarebbe passato il suo assistente, ma non che questi fosse così attraente.."
"Basta così, madre." La voce di Marie era glaciale, distaccata. Antonio pensò che odiasse la madre. Glielo si leggeva negli occhi grigi, divenuti gelidi alla sua vista.
"Antonio, la posso accompagnare fuori?" gli chiese.
"Certamente" rispose lui, riprendendo il cappotto dall'appendiabiti e la bombetta dal tavolino.
Appena usciti, un vento freddo, come il tono di Marie pochi istanti prima, li avvolse tra le sue spire. Marie teneva il capo basso. Poi mormorò: "Scusatemi per prima. Io... Non sopporto mia madre. Ha sposato Papà solo per i soldi, e adesso che lui non può più controllare il suo conto in banca, si dà alla pazza gioia tra le boutique più facoltose..." Una lacrima si posò sulla sua guancia. Antonio la asciugò, con somma sorpresa di Marie.
"Vi capisco... Ma prometto che tenterò di aiutarvi."
"E in che modo, se mi posso permettere? Mio padre morirà. E' questione di giorni, se non di ore. Ed a quel punto i soldi andranno di diritto a mia madre. Ed io diverrò quasi una sguattera..." Altra lacrima, un singhiozzo. Antonio tirò fuori il suo fazzoletto, glielo porse. Lei s'asciugò il viso, ringraziò e glielo tese. "Meglio che lo teniate voi" rispose con un sorriso, che Marie ricambiò prontamente.
"Dovete scusarmi, vi ho riversato addosso tutti i miei problemi senza ritegno... "
"State tranquilla. Non c'è problema. Anzi, forse ho trovato una soluzione..."
"Davvero?" Marie s'illuminò.
"Innanzi tutto, vi giuro sulla Colonna Vendome che farò guarire vostro padre. Quanto al fermare vostra madre... Avete mai pensato ad un matrimonio combinato?"
Marie sobbalzò, poi lo guardò stralunata. "Un matrimonio? E con chi? No, io devo stare al capezzale di mio padre..."
"Ma potreste starci lo stesso! Io... Io necessito di una moglie. Sono in Francia con un visto, e se mi sposassi con una residente mi farebbero lavorare in pace. In cambio, lei avrebbe i soldi di suo padre congelati. Le assicuro che non m'interessano. E poi, vostra madre dovrebbe dar conto a voi di ogni suo acquisto. In questo modo saprete in ogni momento cosa compra. Infine, io sarei sempre vicino a vostro padre, e voi pure, e potremmo correre assieme al suo capezzale... Da parte mia, non vi chiedo niente..." E con quest'ultima frase, il giovane arrossì.
Marie era visibilmente confusa. "Io... Mi lusinga la sua proposta. Ma... Non le so dire. Ci penserò."
Un pensiero balzò nella mente di Antonio. "Non è che siete già promessa? O, ancor peggio - per me, s'intende - siete... Innamorata?"
"No, no" lo rassicurò Marie "Nessuna di queste cose. E' che... Sarebbe un cambiamento radicale. Fatemi pensare. Ma vi rassicuro: è già in partenza più si che no."
E così dicendo, se ne andò.

Le nozze furono celebrate nella chiesa di Saint-Augustin, con rito cattolico. Marie era emozionatissima, malgrado non fosse innamorata del suo giovane sposo. Indossava un abito avana lungo fino alle ginocchia, non molto ampio, con maniche lunghe e scollatura rettangolare. Guanti beige avvolgevano le mani curate ed affusolate, un velo sottile di tulle le cingeva il volto. Rose selvatiche, bianche e pure come la loro padrona, completavano la mise.
Anche Antonio era emozionato. Aveva fatto venire i suoi genitori dalla Toscana, e fatto fare il suo vestito da un sarto italiano. 
La cerimonia durò poco, anche se fu imbarazzante per entrambi scambiarsi un bacio. Erano diventati amici, certo, ma non così intimi.
Alla fine, dopo aver consumato un lauto ma veloce pasto in un ristorantino vicino, andarono dal padre di Marie, che benedì la loro unione. Solo loro due sapevano che era un matrimonio più di convenienza che d'amore, però la madre di Marie era comunque livida di rabbia.
Dopodiché, Antonio portò la sua novella sposa nel suo appartamento. Non era molto lussuoso, ma era spazioso per entrambi. Marie si chiuse nella sua stanza, e ben presto s'addormentò.

l'indomani ed i giorni seguenti Antonio li avrebbe sempre ricordati come i più frenetici della sua vita.
Corsero per mezza Francia, alla ricerca di una cura per la malattia che aveva colpito così duramente Monsieur Lacroix. Inutile dirlo, non trovarono nulla di soddisfacente. 
Marie si stava lasciando andare alla disperazione. Mangiava poco, non si curava più, pensava solo al padre, che dal canto suo la rimbrottava, dicendole che doveva prestare tutte quelle attenzioni al marito. Lei annuiva mestamente ogni volta, ma poi rimaneva lì, i gomiti sul letto, uno sciroppo in una mano ed un cucchiaio nell'altra, gli occhi stanchi, i capelli scompigliati, la veste stropicciata.
Antonio era messo anche peggio. Non dormiva da giorni, tentando di trovare la cura per quella malattia. Aveva contattato i maggiori medici mondiali, e non aveva ancora ottenuto risposta. Unico aspetto positivo, il dottor Blanchard gli aveva affidato il paziente.

Passarono i giorni, uno più angoscioso dell'altro. Non ci volle molto perché Antonio capisse che non era bronchite quella del signor Lacroix. Marie sveniva quasi regolarmente, ed Antonio dovette costringerla a mangiare sotto minaccia: o si nutriva, oppure non sarebbe più stata al capezzale del padre. Almeno così ricominciò a spulciare qualche fetta di pane. 
Ahimé, anche lei aveva capito che il padre non sarebbe vissuto ancora a lungo, e così se la prendeva col suo sposo, poiché le aveva giurato che l'avrebbe curato.
La madre, dal canto suo, non s'avvicinava nemmeno al marito, convinta fosse infettivo. Si chiudeva nelle sue stanze, a provare i vestiti, leggere ed invitare le amiche, come se niente fosse.
E come se tutto ciò non bastasse, le lettere che arrivavano ad Antonio erano sempre le stesse: Mi spiace, ma non possiamo aiutarla.

Il 19 dicembre 1926, il signor Lacroix iniziò a tossire sangue. Antonio provò a chiamare ospedali e dottori, ma non ci fu nulla da fare: ad aggravare la situazione, il telefono era nuovo, e pertanto andava molto lentamente, ed il centralino prendeva la linea a singhiozzo.
Alle ore 18.15, il signor Lacroix spirò.

Antonio non si dette pace. Continuava a ripetersi che era colpa sua, che poteva fare di più, che doveva provare altre cure.
Due giorni dopo gli arrivò la lettera di Albert Calmette: leggendo i sintomi di Monsieur Lacroix, il medico pensava che avesse la tubercolosi, e lo invitava quindi ad andare nel suo studio a Parigi per avere un campione della sua innovativa cura chiamata BCG.
La missiva aveva data 17 dicembre 1926.

Marie si chiuse nella stanza del padre per giorni, uscendone solo per il funerale: nella chiesa, la vedova si disperò in modo teatrale, suscitando l'ira della figlia, che la cacciò dalla chiesa violentemente e poi si chinò sulla tomba del padre, singhiozzando. 
Non si ebbero più notizie della signora Lacroix per molti anni; un giorno però Antonio lesse che s'era risposata con un noto banchiere, in Corsica, e che era divenuta per i figli del marito una madre modello.

Il 25 dicembre 1926, Antonio prese coraggio e bussò alla camera della moglie. Non ottenendo risposta, aprì la porta.
Marie era accasciata sul letto, le gambe leggermente divaricate, la testa girata da un lato, le braccia aperte. In una mano teneva una boccetta di sonniferi vuota, proveniente di certo dalla valigetta di Antonio, e nell'altra una lettera, in cui chiedeva perdono al giovane. Antonio corse a prendere lo stetofonendoscopio ed auscultò il cuore di Marie. Non batteva più.


Il giorno dopo ci furono i funerali. Poca gente, perlopiù conoscenti. Antonio si presentò solo per pochi istanti, poi se ne andò.
E si chiuse in casa.

Che ne dite? Un pò tragico, ma direi che il rancore si sente bene... Se ho sbagliato qualcosa (dovrebbe essere ambientato nel 1900, ma non conosco molto bene quel periodo) scrivete pure!
E commentate!
Ivy

martedì 11 settembre 2012

11 cose di me.

Salve gente!
Oggi ho 'preso in prestito' un post da Cyberluke (http://cyberluke2008.blogspot.), che ringrazio. Se lui non sarà d'accordo, questo mio post verrà rimosso.


11 COSE DI ME:
1. Leggo in modo compulsivo, e non compro più libri perché 15 euro sono troppi per un'ora. Biblioteca ed ebook sono il mio futuro.
2. Scrivo con la musica in sottofondo: una canzone per emozione.
3. 'Secchiona' mi descrive bene.
4. Nuoto per non farmi venire la cellulite a 15 anni. E perché mi diverte troppo.
5. Se un film non mi fa piangere, non è bello.
6. Odio i tacchi ed i bottoni. 
7. Preferisco morire obesa che rinunciare ai dolci piaceri della vita.
8. Sono schietta, sincera e stronza. E me ne vanto. E finora non ho avuto alcun occhio nero per questo. Per ora.
9. Adoro mio fratello. Rischio di sembrare sua madre.
10. So cucinare, ma solo sotto ricetta. 
11. Adoro la storia antica fino al Medioevo (escluso), especially gli Egizi

DOMANDE DI LADY SIMMONS:
1. Moto o Auto?
Motorino
2. Un sogno che mai realizzerai
Avverare ciò che sogno di notte
3. Una rockstar che ti piacerebbe impersonare per un giorno
Vale Dolcenera?
4. Una canzone che ti fa schifo
Guccini, Vecchioni, vedete voi. Canzone = musica, non parole.
5. La tua citazione preferita
Per tutta la vita, ho vissuto solo per aspettare questo momento ed essere libera. (Beatles - Blackbird. Anche se nemmeno loro mi piacciono)
6. La tua reazione più assurda
Se mi faccio male rido.
7. Come uccideresti uno zombie: sparando da lontano o colpo in testa col piede di porco?
Piede di porco forever. Sono moolto sanguinaria.
8. Viaggiando nel tempo, dove passeresti una settimana?
Egitto antico. Come principessa però.
9. Potendo avere un drago, come lo chiameresti?
Nefertari
10. Star Trek o Star Wars o entrambi?
Nessuna delle due. Nerd si, ma non a quel punto. Ma apprezzo chi li apprezza.
11. La colonna sonora dei tuoi 16 anni in tre brani.
Ne ho 15 -.-

DOMANDE DI ARIANO:
1. Ti è mai venuta voglia di mandare a quel paese tutto e tutti e di trasferirti in un luogo dove non ti conosce nessuno?
Sempre. Anche ora.
2. Cosa si intende per 'normalità'?
Non esiste la normalità: ciò che è normale per me, è anormale per te.
3. Freud aveva ragione riguardo l’onnipresenza dei desideri erotici sublimati nella mente (inconscio, vabbé) dell’essere umano?
Se intendeva dopo i 12 anni, si.
4. C’è qualcuno al quale vuoi più bene di quanto ne vuoi a te stesso?
La mia mamma ❤
5. Una lista di cinque canzoni che riascolteresti anche duemila volte senza stancarti?
Duemila volte è un po' troppo. Comunque:
Summer Paradise, Simple Plan
Everytime We Touch (Slow Version), Cascada
Dynamite, Taio Cruz
Cupid, Daniel Powter
Without You, David Guetta ft.Usher
6. Qual è la città più vivibile tra quelle che conosci?
Ci sono stata solo due giorni, ma sono innamorata di Torino
7. Secondo te esiste qualcosa dopo la morte?
Dio lo sa. Credo di si.
8. Cosa cambieresti dell’Italia attuale?
Monti
9. E nel mondo in generale?
I soldi
10. Programmi il futuro o vivi alla giornata?
Programmo, ma poi va a finire male
11. Mi dici una cosa banale che ti rende sereno?
Non so mai quanto vivrò. E quindi godo la vita al meglio.

DOMANDE DI CYBERLUKE:
1. Sei Dio per un giorno. Meno di Jim Carey che ha avuto una settimana. Qual è la prima cosa che fai?
Faccio capire al mondo che sono Unico.
2. Per una settimana, sei un uomo (se sei una donna) o sei una donna (se sei un uomo). Che cosa fai?
Vado dagli altri uomini ad aiutarli con le donne.
3. Una cosa che hai fatto e che non rifaresti mai più.
Tutto? No, molte cose. Di certo essere poco spontanea.
4. La verità è la cosa più importante che esista?
No. E' la fedeltà.
5. Che cosa hai rubato? E, sì, certo che hai rubato qualcosa.
Un lucidalabbra ad una mia amica. In seconda elementare. E gliel'ho ridato.
6. Da adolescente, in camera avevi un poster di?…
Marylin Monroe. E più di uno.
7. Non è stato bello, giusto o persino illegale… ma è stato divertente. Cosa?
Lo spettacolo di fine anno delle medie.
8. Quanto tempo puoi restare da solo/a?
Poco. Ma se sto studiando, anche tutta la vita.
9. In quale serial TV vorresti vivere?
Hellcats.
10. L'ultima cosa che hai imparato.
Spingere una carrozzella. No, scusate: usare lo spremiagrumi.
11. L'ultimo acquisto compulsivo.
Un maglione di lana di Susanna, che m'ha riempito tutti i pantaloni di pelucchi.

LE MIE DOMANDE:
1. Miss Italia o Grande Fratello: a quale parteciperesti?
2. Hai a disposizione una foto del tuo futuro: che cosa ci vorresti vedere?
3. La tua litigata peggiore.
4. Un desiderio inconfessabile.
5. La cosa che hai tenuto meglio nascosta.
6. Quale personaggio (televisivo, dei cartoni...) ti rappresenta di più?
7. Moccia o Dostoevskij? Shakespeare o Meyer?
8. Il libro più bello della tua vita.
9. La persona che hai più odiato.
10. Un comportamento che non sopporti.
11. L'ora ed il giorno che preferisci. O che hai preferito.

Io sono stata schietta e sincera (vedi punto 8). Spero che vi piaccia come sono. Sennò, amen. Spero che mi leggerete lo stesso.
Buonanotte!
La vostra Ivy

domenica 9 settembre 2012

Sfida: PASSIONE


Salve gente! 
Ringrazio Ferruccio per essere diventato Lettore Fisso, ed incito anche gli altri a diventarlo... Grazie di cuore! E naturalmente, grazie anche alle persone che hanno fatto le 657 visualizzazioni... Ho impostato il contatore! Notato? :)
I miei cari amici Milly & Vittorio mi hanno consigliato la parola di questo new post: PASSIONE... Intrigante direi! 

Ma stavolta voglio utilizzare la parola sotto un'altra accezione... Vedrete! Per una volta, basta sdolcinatezze! ;D




Licia non riusciva a dormire quella notte. Era troppo agitata.
La tempesta che sbatteva sull'oblò del faro non l'aiutava. Troppe emozioni in un sol momento sono difficili da sopportare, e Licia non era mai stata molto forte.
Si era fatta calpestare dalla famiglia, dai finti amici, dallo pseudo ragazzo, dai professori, dai datori di lavoro. Ed il suo unico scopo, la sua passione più grande, era evaporata senza nemmeno che se ne accorgesse. Fino a quando una sua collega d'università non le aveva fatto una specie di interrogatorio: chi era, famiglia, amici, amore, hobbies... E lei aveva capito che nella vita aveva fatto tutto ciò che voleva sua madre, despota di tutte le persone che vivevano sotto il suo stesso tetto: era arrivata addirittura a segregare la figlia e suo marito nella dependance per controllarli meglio.
Un giorno però Licia era scappata dalla sua prigione dorata nell'anonimo paesello sperduto, per accettare un lavoro di fortuna come guardiana di un piccolo faro.  E lì aveva iniziato il suo progetto: aveva talento, le poche amiche non corrotte dalla madre avevano migliorato i pochi difetti, dovuti più all'inesperienza che ad altro. La sua mano era diventata ferma col passare del tempo, i suoi occhi s'erano abituati a distinguere i pigmenti colorati, le palpebre erano ormai ferme e le matite sempre temperate.
E' stata dura scappare di casa, con pochi soldi suoi, un pò di talento nel campo del trucco , un diploma non voluto al liceo scientifico e due esami all'università di chimica della città vicina, anche questi imposti con la forza, perché 'Nel paese qui vicino hanno messo un laboratorio, e conosciamo l'amica della cugina della suocera del panettiere del dirigente, che ti darà subito un lavoro'.
Licia aveva altre idee: lei voleva truccare la gente, truccarsi come voleva, non badare alla madre che appena vedeva un rossetto le imponeva una nuova proibizione. Voleva essere libera
"Signorina! Signorina Licia! Signorina!" Qualcuno stava sbattendo sul portone del faro. Barcollando, Licia si alzò e aprì il portellone. Mentre faceva il gesto, gettò uno sguardo all'orologio: le otto del mattino. Ennesima notte in bianco.
"Si?" chiese rabbrividendo. Un vento gelido sferzava le onde, e lei indossava solo una canottierina leggeraed un paio di culotte.
"Signorina, è arrivata la sua risposta!" 
Licia prese la lettera con mano tremante. L'aprì quasi coi denti, la divorò con gli occhi.
Accettata. Accettata! Finalmente avrebbe fatto un vero stage di trucco! 
Dalla gioia saltò al collo del postino, che rimase sorpreso per qualche minuto. Quando si staccò, chiese: "Vuole un caffé?"
"No, grazie, signorina, vado di fretta..."
"Allora arrivederci!" esclamò lei, chiudendo il portone ad un soffio dal naso del malcapitato.
"Che tipa... " borbottò lui, riaprendo l'ombrellino.

"Ci vuole passione per fare questo lavoro. Se non pensate di averla, uscite di qui, altrimenti rimboccatevi le maniche!" Stefania, la capotrucco - o almeno così la chiamavano - era stata tassativa, e fin da subito aveva mollato loro un librone contenente le regole di base (e non) del make up, un astuccio con pennellini e pennelloni e una trousse con i più svariati colori. 
Lo stage durò sei giorni: Licia passò momenti d'inferno, la mattina studiando dal libro i vari nomi e tipologie di trucco, la sera mettendole in pratica. Non parlava con nessuno, non chiedeva mai niente se necessario, andava avanti spedita, guardando video su Youtube tutte le volte che per un colpo di fortuna il wifi arrivava fino al faro.
Stefania la osservava da lontano. Licia era l'unica lì dentro che ci metteva anima e corpo: per gli altri era un semplice svago, per lei era passione. Era determinata, e non guardava in faccia nessuno - se non per truccarlo, ma se Stefania o altri si avvicinavano, diventava subito timida, e diceva che non era opera sua, che la sua passione partiva dal cuore ed arrivava alla mano, non passava dal cervello.
L'ultimo giorno di stage, Licia era distrutta: visibili occhiaie violacee s'intravedevano sulle sue gote pallide, ed il test di fine corso era davanti a lei. Le sue colleghe avevano penne rosa coi lustrini, lei una semplice Bic. Ma le altre rispondevano con difficoltà, lei con decisione. 
Anche nel test pratico si distinse, ottenendo il massimo dei voti e ricevendo il diploma di truccatrice principiante e l'attestato di partecipazione: solo a quel punto Stefania poté prenderla da parte ed offrirle un caffé. 
Di fronte alla tazza bollente parlarono a lungo: Licia era un pozzo di idee, e la capotrucco non poteva non approvarle ad una ad una. Ad un tratto, spinta dalla curiosità, le chiese della sua famiglia: ed a quel punto la timida ragazza si trasformò in un fiume in piena, piangendo lacrime amare, e ridendo solo di fronte al mascara waterproof offertole da Stefania. 
Quest'ultima bevve un'ultima sorsata di bevanda bollente, congiunse le mani davanti a sé, ed esclamò: "Ci verresti a lavorare con me in Inghilterra?".

Passarono tre anni, i migliori della vita di Licia. Lei e Stefania attraversarono le sfilate di mezza Europa truccando le modelle più belle del mondo, del calibro di Naomi Campbell e Bianca Baldi, trasformando anche il più anonimo dei visi in opere d'arte. 
Quando tornarono in Italia, Stefania sposò il suo compagno di sempre, fece un figlio e lasciò le redini a Licia. 
Dal canto suo, Licia aveva finalmente ottenuto ciò che voleva, aveva raggiunto il suo scopo nella vita, era arrivata a toccare con mano la sua passione. 
Malgrado tutto però si sentiva incompleta, infelice: quando si chiese il perché, sentì una ferita riaprirsi. E ahimé, sapeva dove trovare il cerotto per richiuderla.
Così prese un giorno di ferie - il primo in tre anni di duro lavoro - e ritornò a Casa, tra i suoi tetti cotti al sole ed i suoi orticelli piantati in giardino. Dove l'aria sapeva di cose buone, e la gente sapeva tutto di tutti. 
Di fronte alla porta si fermò, inspirò profondamente e bussò con mano tremante.
Le aprì suo padre, che l'accolse a braccia aperte. Sua sorella l'aveva contattata via mail, e pertanto Licia già sapeva che s'era trasferita, che anche lei era sfuggita alle grinfie della madre. Quella stessa madre, invecchiata parecchio, che adesso fissava Licia da dietro delle spesse lenti di vetro, e che s'alzò a fatica dalla panca di legno, s'appoggio al bastone e s'abbandonò tra le braccia della figlia perduta, piangendo e chiedendo perdono per averla amata, ma averlo fatto male. 
Licia, dal canto suo, non rispose, fino a che la madre non si staccò dal suo collo. A quel punto la fece sedere, le prese le mani rugose e le chiese, con tono implorante: "Mamma, posso truccarti?" 
Sorridendo, la madre glielo concesse.

Che ne dite??? Commentate, o almeno fatemi sapere che ne pensate (via Twitter, mail, vedete un pò voi... :D)
Bacio, & buonanotte!

mercoledì 5 settembre 2012

Sfida: FUOCO


Salve gentili lettori! Pausa estiva...

Prima di tutto, dovevo iscrivere il blog a Google e Bing, quindi adesso mi trovate anche lì.

Poi, finalmente sono stata in vacanza nella mia bella Calabria, e quindi ho girato un pò in cerca d'ispirazione.

Ma  adesso riprendiamo!

Poiché il mio raccontone non è il massimo - ne rendo conto pure io! - scrivetemi se volete un sequel. Sennò ho di meglio in serbo per voi. O almeno spero che sia meglio, decidete e fatemelo sapere.
Bene, vi lancio una sfida: scrivetemi qualunque cosa - una parola, una frase, un aforisma, etc. - e io vi compongo una storia. Ci state? :D
Per ora, mi faccio aiutare dalla mia Manager: la parola di stasera è FUOCO.


Luglio, spiaggia della costa ionica calabrese, caldo, sole e mare.

Ingredienti della solita estate perfetta, se non venissero mescolati con criterio. Ma Sofia aveva deciso di prendere in mano una frusta e amalgamare il tutto al meglio. Doveva essere la sua Estate.
Aveva passato sei mesi d'inferno per guadagnare abbastanza per quella vacanza, e non aveva la benché minima intenzione di farsela rovinare da alcunché. Così lasciò 'casualmente' il cellulare a casa, prese i suoi vestitini da cocktail più belli e i suoi costumini più comodi, infilò tutto in valigia e salì sull'aereo. 
Finalmente, si sarebbe presa un momento di pausa...
Scesa dal velivolo, chiamò un taxi, e si fece portare fino ad un piccolo alberghetto a gestione familiare nei pressi di Bova Marina. Anni di studio di greco antico l'avevano spinta a visitare l'area grecanica calabra, e Bova Marina aveva sia il mare stupendo sia il paesino montuoso - Bova Superiore - ove il greco era quasi lingua madre.
Posando il bagaglio in stanza, si tolse i jeans leggeri e la camicetta di lino e si infilò il primo costume della pila. Pareo, cappello a tesa larga e borsa di paglia, si buttò su una sdraio e si spalmò la crema solare. Poi tirò fuori dalla borsa un giornale locale, scoprendo che il salumiere faceva gli sconti e la stradina per Bova era stata asfaltata. Poi notò un articolo riguardante la spiaggia vicina: Questa sera Gran Falò di mezza estate! Accorrete numerosi: presente "La tenda degli amori", appuntamenti al buio per tutti!
Sotto, una didascalia: Spettacoli di fuoco e fuochi d'artificio! Incendiamo la notte!
Sofia scoppiò a ridere: una tenda degli amori! Ma perché no, era un'idea come un'altra, e lei era in vacanza per divertirsi...
Proprio in quel momento sentì una voce dietro di lei: "Siete interessata al Gran Falò?" chiese lo sconosciuto, facendo sobbalzare Sofia.
"Le sembra il modo di spuntare?" sbottò lei indignata. "Mi fa morire così! Comunque non sono affari suoi." E tornò a leggere la rivista.
"Ne siete sicura?" chiese lui, sedendosi. "Io sono l'organizzatore, nonché Mangiafuoco." 
Lei spostò gli occhiali Dior sulla punta del naso e lo fissò negli occhi. "Ciò doveva forse impressionarmi?"
"No, doveva solamente essere un'informazione gratuita. Ma sa, lei mi ricorda molto il fuoco. Caldo, pericoloso. E' difficile toccarlo senza bruciarsi, ma chissà come mai, io ci riesco. Vedremo se ci riuscirò anche con voi." In seguito si alzò e se ne andò.
Sofia lo seguì con lo sguardo. Niente male il fuocherello, pensò. Ma un pò troppo sicuro di sé.

Dopo un'oretta passata tra spiaggino e mare, con ragazzetti che si avvicinavano chiedendole in dialetto come mai era pallida (e lei rispondeva in tedesco, così si volatilizzavano), si avviò verso l'Hotel, dove fece una doccia rilassante, si spalmò un olio refrigerante sulla pelle umida ed acconciò i biondi capelli in uno chignon. Poi indossò un vestitino anni '50 comprato dal suo ultimo ex in America, bianco coi fiori rosa e con la gonna a giro. Infine mise dei sandali argentati da spiaggia, un paio di orecchini lunghi d'argento e una pochette bianca a tracolla.
Avviandosi verso la spiaggia del falò, vide i ragazzetti del mattino additarla dicendo: "Ecco la straniera! Cosimo ora la conza!" (sistema)
Lei però continuò a camminare imperterrita, fino a quando si fermò, scioccata. Quello che si aspettava essere un fuocherello, era un falò gigantesco, attorno al quale decine di paesani ballavano la tarantella coi tamburelli, sollevando la sabbia fino in cielo. Una donna sulla cinquantina le si avvicinò.
"Signorina" esordì, "volete provare pure voi? Avanti, toglietevi le scarpe e ballate con noi!"
Nell'arco di mezzo minuto si ritrovò a ballare con ragazze e donne di tutte le età, divertendosi un mondo. La sabbia era fredda a quell'ora, il tramonto era passato da un bel pezzo e nessuno aveva voglia di cenare, malgrado ci fosse un fornitissimo buffet poco più avanti. 
Ad un certo punto sentì una voce risuonare per tutta la spiaggia: "Bagnanti! La Tenda degli Amori è pronta! Venire a scoprire chi potrebbe essere la vostra anima gemella, sfidate il destino!"
Concetta, la signora che prima la invitò a ballare, le sussurrò: "Signorina, andate voi. Noi oramai siamo vecchie e maritate. Trovatevi un bel ragazzotto, magari del posto, così siamo sicure che tornerete!"

Sofia provò a declinare l'invito, sebbene le signore fossero convinte della loro posizione: il risultato fu che si ritrovò nella tenda scura in un batter di ciglia.
Dentro c'era un caldo asfissiante, e nemmeno una luce. Qualcuno la bendo, anche se lei tentò di opporsi, e la fece sedere su una sedia... No, forse era una poltrona. Poi partì una canzone lenta, che Sofia non conosceva, forse era francese... Infine una voce le fece passare un brivido sulla schiena.
"Sofia... Spero che vi ricordate di me. Benvenuta nella tenda... Ditemi: avreste preferenze riguardo al vostro uomo del destino?"
"Se lo scegliessi, non sarebbe più del destino" replicò lei. Il Mangiafuoco le si avvicinò.
"Bene..." disse Cosimo. Poi la baciò.

...Sofia...Sofia...SOFIA!
Sofia si svegliò di colpo. Era distesa a terra, accanto ad un falò. Si era appisolata.
"E' stato solo un sogno"pensò. Ma poi si girò, e vide Cosimo accanto a se. Sorrise.
"O forse no..."


Che ne dite? Scrivete le parole che volete, tentate la fortuna!
Ivy

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A presto, bacioni!