. . . All you life, you were only waiting for this moment to be Free . . . * Nulla enim culpa est in somnis.

sabato 27 settembre 2014

It's time

Buon pomeriggio miei cari lettori!
Ho visto uno stupendo 9470 sul contatore delle visualizzazioni: graziegraziegrazie, 9470 volte grazie!
Detto ciò, oggi davanti ad Orazio non ho potuto astenermi dall'immaginare di finire tutto ciò...
E beh, temo che l'anno prossimo m'iscriverò al Centro di Igiene Mentale.
Have a good reading!

La musica le rimbombava nel petto, facendo a gara col cuore. Gocce di sudore scorrevano fino alla scollatura, distogliendo per una frazione di secondo l'attenzione dal sorriso luminoso che irradiava gioia nel mondo.
Sciolse i capelli e tolse il maglione, rimanendo in canotta. I muscoli definiti scattarono, ritmarono il pavimento con affondi e balzi, agitavano le braccia come fronde degli alberi col vento, degno rappresentante delle note nelle sue orecchie. Piroettava sul piede maciullato, alternando il classico ed il moderno, prendendo da entrambi il meglio. Simile ai fotogrammi nella tv, scattava da un'espressione all'altra, senza però uscire dall'armonia che l'avvolgeva.
Salì sul banco di fronte a lei, calpestò scritte sbiadite, problemi forse ormai risolti, forse ancora persistenti. Scalciò un quattro, lanciò in aria un nove, baciò un dieci cullandolo tra le sue braccia.
Uscì da quell'aula che ormai era più una casa. Rubò una scopa al bidello che le fece perdere tanto tempo con avvisi inesistenti, la capovolse e scrisse frasi incomprensibili sul marmo consunto dal tempo. Poggiò il fedele compagno di danze al muro e scivolò fino alla fine del corridoio, e giù per il corrimano, atterrando tra una scala e l'altra e scendendo la rampa ancheggiando a ritmo.
Si tolse dal reggiseno il bigliettino di matematica e lo stracciò; i pezzettini atterrarono lievi sugli scalini lucidati da anni di Converse nuove di paghetta.
Alla fine trovò loro. La sua stupenda classe, che di classe non aveva proprio nulla, se non l'arte di decorare in modo kitsch un ambiente tanto austero e l'abilità di passare lo stesso compito a venti persone senza farsi beccare.
Con alcuni aveva fatto a botte, con altri aveva parlato solo di scuola; c'erano le migliori amiche, l'ex, quella stronza coi suoi stessi sogni, quella ragazzetta timida col carattere represso dal rigore dei genitori. Erano partiti da bambini, convinti che il liceo fosse più uno status symbol che una scuola, pensando che bastava studiare quanto alle medie e che la buona volontà sia la risposta a tutto.
Ora gli sguardi persi erano diventati stanchi, con in sottofondo la determinazione dovuta al riprendersi il futuro, pronti a sbattersi sui libri altri cinque anni, puntando al Giardino dell'Eden, ad essere i primi. Avevano collezionato lacrime e respirato tante di quelle difficoltà da riscrivere la Divina Commedia, ma se qualcuno avesse nominato loro Dante in quel frangente sarebbe finita male. 
S'erano fatti forza l'un l'altro quando mancavano cinque minuti al suono della campanella e l'omino alla cattedra iniziava un nuovo capitolo, si erano insultati quando la timida studiosa aveva ricordato quel compito lungo come la via Appia, che per il medesimo motivo avevano cancellato dal diario senza nemmeno aprir libro. Lo stesso diario custode di segreti invisibili, dediche immutate nel tempo, lacrime e sorrisi, quel giorno nel quale ci fu quell'incontro meraviglioso e quello nel quale quello si prese un voto più alto di quanto avesse meritato, accanto alla caricatura del preside.

Era il momento di dividere le proprie vie. 
In che modo?, era la domanda muta tatuata sulle mani strette a formare una catena umana.
Con quest'animo s'apprestarono ad uscire, per l'ultima volta assieme, da quell'edificio, con alle orecchie It's Time degli Imagine Dragons: così diversa dalla What Time Is It? che sancì la fine delle medie, quando s'imitava il ciuffo di Zac Efron per essere fighi.
Niente più mimesis da quel momento in poi: ognuno col suo stile, ognuno con la sua mente. Era forse questo il grande come?
O era forse scritto nei loro cuori, dove avevano riposto il dolore della separazione, accanto alla gioia del loro legame?
Dovevano cercarlo sul fondo delle bottiglie di birra che avrebbero usato per festeggiare? O su quello del caffè che avrebbero preso la prima ora all'Università?
La lotta con la vita era all'inizio del terzo round, il pubblico si stava definendo, ognuno aveva scelto le proprie armi e pulito il proprio ring. Era ora di mettere k.o. gli ostacoli, lasciando le lacrime a far colare il trucco, brillando sopra i sorrisi a fatica conquistati.

Fuori dal liceo non c'era alcun pubblico ad acclamarli, né medaglie da appendere al collo.
Non c'era il diploma già stampato, né un falò di libri sui quali s'erano uccisi per cinque eterni anni.
Non c'erano fantasmi di persone che se n'erano andate, né ologrammi di chi li avrebbe attesi.
Sapevano solo una cosa: che quella loro compagna, che con coraggio aveva organizzato quell'harlem shake da mettere su Youtube per pubblicizzare la loro tanto amata, odiatissima scuola, radunando un'ultima volta quei ragazzi già proiettati verso il domani, aveva colto l'essenza della loro età: volate via, affrontate tutto cantando e gioendo, carpe diem.

Buona serata a tutti! 
Ivy :* 

Ps: mi sono accorta che questo è il 100° articolo ** Have fun!

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