Ciao a tutti lettori!
Chiedo scusa per l'assenza, ma l'università mi prosciuga le energie e le idee!
Sono qui solo per un veloce motivo: spero che questo messaggio vi arrivi nella bacheca/sulla mail, perché il blog ha cambiato domino!
Si, avete capito bene: non è più Crazy Girl's Faity Tales, con URL http://scimmiettaivy.blogspot.it/, bensì Compagna Di Viaggio, URL http://compagnadiviaggio.blogspot.it/
I PRO sono che 1. è un nome più adulto, 2. la grafica si è riammodernizzata, 3. i contenuti sono gli stessi.
I CONTRO purtroppo sono che ho perso tutti i lettori fissi, le visualizzazioni, i follower and so on. ERGO
SE VOLETE CONTINUARE A SEGUIRMI, VI PREGO, ANDATE SUL NUOVO URL ED ISCRIVETEVI COME LETTORI FISSI/CON LA PROPRIA MAIL!
Anche perché se digitate http://scimmiettaivy.blogspot.it/ venite subito reindirizzati al nuovo blog, quindi non vedrete più la vecchia grafica!
Grazie di cuore a tutti. Spero vogliate ripartire con me per questo splendido viaggio!
Baci,
Ivy
. . . All you life, you were only waiting for this moment to be Free . . . * Nulla enim culpa est in somnis.
martedì 22 novembre 2016
lunedì 29 agosto 2016
Gea Mea, l'amore per la propria Terra
Ciao a tutti!
Dopo un attimo di pace, tornata a casa, mi prendo un momento per scrivervi.
Sono stata, come avete letto nello scorso post, in Puglia per una vacanza... particolare: mi trovavo infatti in provincia di Brindisi, per la premiazione dell'ultimo concorso letterario al quale ho avuto il piacere di partecipare.
Ed ecco che, presso Ceglie Messàpica, ho ricevuto l'attestato per il terzo posto del concorso MittAffett allo scrittore - Gea Mea, con il testo Profumo di mare, decretato dal Presidente di Giuria Paolo Giordano! (Vincitore del Premio Strega con La solitudine dei numeri primi, ma io vi consiglio di leggere anche Il corpo umano ed il capolavoro Il nero e l'argento) Oltre 300 partecipanti, wao!
Purtroppo - o per fortuna, non so - non posso condividere con voi il testo vincitore, in quanto è stato antologizzato. Tuttavia vi posso dire che parla di una donna e dell'amore per la sua terra, in particolare Chianalea, in provincia di Reggio Di Calabria.
Non mi resta che postare qualche foto per voi, ringraziare nuovamente Paolo Giordano per aver giudicato il mio testo degno di premio, e... ringraziare per il sostegno Maria Rosaria Pelusio e Federico Verdi, che a quanto pare conoscono meglio di me il mio amore per il Sud, e sono più bravi di Paolo Giordano nel giudicare il mio talento.
Qui trovate il link alla pagina Facebook dell'Associazione MittAffett, promotrice del concorso, e le foto della serata, alcune delle quali sono anche qui.
Con l'Assessore Antonello Laveneziana e l'attestato |
Con Paolo Giordano e gli altri finalisti del concorso |
L'attestato del concorso |
domenica 21 agosto 2016
La signora Marilena: l'umiltà del bisogno
Mi sono innamorata
di Lecce.
Lecce non sembra una
città del sud, sfido chiunque a non scambiarla per le più glamour Milano, Torino, Bologna.
Lecce è viva, come solo una città ospitale e generosa
può esserlo.
Mi sono avventurata
tra le sue vie con gioia, ho assaggiato profumi particolari - cuoio,
terracotta, cartapesta, cotone - e ammirato opere artigiane di inestimabile
valore.
Stavo per andarmene
da Lecce a cuor leggero. Stavo.
Sulla via del
ritorno, la mia vita tutta pailettes rosa e souvenir colorati s'è
momentaneamente ingrigita.
Lei è la signora
Marilena.
Una signora come
tante altre che s'incontrano per le splendide vie pugliesi. Distinta, a modo,
sedeva composta avvolgendo le mani attorno all'esile corpo segnato dalla vita.
Indossava una gonna
nera, un maglioncino nero, delle ciabatte classiche da nonna nere, ed aveva accanto un borsello nero.
La signora Marilena
ha la pelle liscissima ed è dolce come lo zucchero. Nei pochi minuti nei quali
le ho rivolto la parola mi ha insegnato più di quanto io abbia imparato a
scuola in tredici anni.
Mi ha parlato di orgoglio, di come si debba mettere da parte
quando si ha bisogno di aiuto.
Mi ha parlato di umiltà, perché non servono tanti gesti
plateali per dimostrare che si è in difficoltà.
Mi ha parlato di fede, e mi ha persino detto che il Signore, lo
stesso al quale ha chiesto di benedirmi, si era manifestato tramite me.
La signora Marilena
stasera giace sul freddo pavimento del centralissimo Corso Vittorio Emanuele,
all'altezza del numero 80, a Lecce, su di un cartone mezzo rotto.
La signora Marilena
vorrebbe solamente una chiacchiera, e poter comprare il pane il giorno dopo.
La signora Marilena ha due occhi grandi come le luci dei fari e ti scrutano dentro.
La signora Marilena,
a terra, era più pulita di me, con le borse degli acquisti al braccio.
La signora Marilena
non ha fatto nulla di male per questo mondo schifoso, anzi ha lavorato per
anni, magari anche per te che stai leggendo e nemmeno lo sai, ma ora ha meno di
500 euro di pensione nelle tasche, e quasi 400 se ne vanno solo di affitto.
La signora Marilena
si è abbassata a chiedere l'elemosina,
senza nemmeno scrivere ho fame su un
cartello.
La signora Marilena
ha semplicemente posto un cappello di lana nero, come tutto il suo vestiario,
davanti a sé, e si è seduta. Nessuno la nota. Nessuno disturba.
La signora Marilena
potrebbe benissimo essere mia - o tua - nonna, per non dire madre. Potrebbe
farti sedere accanto e raccontarti della guerra, o della pace.
La signora Marilena,
quando ha saputo il mio nome, mi ha citato A
Silvia di Leopardi, anziché chiedermi denaro.
La signora Marilena, abbracciandomi, tremava.
La signora Marilena,
quando le ho chiesto una foto assieme, s'è coperta il viso per vergogna - non
dell'elemosina, no, ma perché nelle foto esco
un mostro.
E invece, signora Marilena, lei è proprio bella.
Dei mostri, siamo
noi.
Io sono una stronza,
lo so, ed anche parecchio egoista. Ho fatto della legge del contrappasso il mio
mantra, ma se mi chiedono 1 euro per mangiare dico che non lo ho e mi volto
dall'altra, perché tutti abbiamo fame a questo mondo, chi di questo chi di quello.
Ma. Ma.
Ma la signora
Marilena è quel Cristo che s'incontra per le strade, che ti accoglie a braccia
aperte anche se non ti conosce, perché forse tra le due avevo più bisogno io.
La signora Marilena
mi ha sconvolto l'anima.
Ora vi chiedo, cari
Leccesi.
Io non abito a
Lecce. Ma vi scongiuro, portate un euro
ciascuno alla signora Marilena da parte mia.
Non vi chiedo soldi
per me - che farmene? Per i souvenirs? - No. Date un pezzo di pane alla signora
Marilena, parlate con lei. Abbracciatela. Confortatela. Come se fosse vostra
nonna, vostra madre.
Mi avete accolta
nella vostra stupenda città a braccia aperte, voltatevi verso le vostre mura ed
abbracciate lei per me.
Ricordatevi le
parole di Papa Francesco sul parlare coi nonni, se proprio io non vi sto
simpatica.
Ma fatelo, perché un domani lì potreste esserci voi - o io.
martedì 9 agosto 2016
Disturbo di un mattino di fine estate
Buongiorno cari lettori!
Stavolta trovo il tempo di scrivervi anche dalle vacanze al mare. Ed ecco allora qualcosa che, ne sono certa, è capitata a tutte prima o poi...
Le ho provate tutte. Proprio non ci riesco.
Tu non ti sposti. Non ti smuovi. Non ti scansi.
Rimani lì ad ondeggiare, fissandomi furbescamente, come se
tutto ciò fosse colpa mia, ma io sono
la vittima di questo giochino perverso che va avanti da troppo tempo, per i
miei gusti.
Mi sono ribellata come un contorsionista, girandomi e
rigirandomi e spingendo contro di te con tutte le mie energie. Però no, tu hai deciso che quel posto ti
piace e te lo sei preso di diritto.
Hanno provato a dissuadermi, a farmi lasciar perdere, perché è una lotta impari, dicevano, è più forte di te, ha forza fisica e forza di volontà, si sa nascondere, è subdolo, ti distruggerà i nervi, ti ucciderà!, però io so che posso farcela, con le lacrime che scendono sulle gote ed i muscoli che bruciano ma posso farcela. Vincerò la mia medaglia d'oro nel judo. Nella lotta libera. Nel pugilato.
Il terreno sembra uno di quei paesini sperduti in montagna,
quando tutti sono scesi a valle nelle grandi città: tu sei quell’unico anziano
testardo che ha deciso d’incaponirsi e non lasciare casa sua, aggrappandosi all’unica
ancora di salvezza nel raggio di km, il pilastro del suo vecchio rudere.
Tu sei simile a quelle piante infestanti, che anche quando
sei riuscita a togliere tornano più forti di prima.
Sei simile a quell’unico dente nella bocca sdentata che non
si può togliere senza provocare danni.
Sei simile a quel segno rosso che non ha permesso alla
verifica di essere da dieci.
Sei simile a quella cacca di piccione sul parabrezza, quel
piccione bastardo che ha deciso che la tua macchina è perfetta come water
mobile.
La tua chioma è simile a quella dei ragazzi del campeggio, i
quali non si lavano da due settimane ed hanno affrontato sudore, pioggia, fango
e frittura mista di pesce.
I tuoi occhi sono simili agli occhi di un cane randagio
abbandonato dal padrone sulla Salerno-Reggio Calabria a mezzogiorno, incavolati
più dell’Etna in eruzione.
La tua bocca, come l’ombelico di quel signore in carne che
non riesce a distendere il ventre, ripiegato su se stesso.
Sei simile a quella macchia di vino sulla tovaglia preferita
che proprio non se ne va, simile a
quella scheggiatura sul vetro immacolato dell’iPhone, simile al neo peloso sul
volto di Miss Mondo.
Ed io tento di estirparti alla radice.
Prima ho usato il disinfestante, che ha solo impuzzolito l’aria
circostante, diventata per ore irrespirabile.
Poi sono passata alla spada, per trafiggerti il cuore e
lasciarti agonizzante sul terreno, ma tu hai schivato tutti i miei colpi.
Ho provato a soffocarti con una nube tossica, tu però hai
scoperto sempre una bombola d’ossigeno nelle vicinanze.
Ti ho tirato i capelli, ti ho stretto le mani al collo, ti
ho grattato fino a farti sanguinare, ma tu no, no, sorridi beffardo, anzi ridi proprio alle mie spalle!, e
fissandomi urli perfidie, dici che non mi libererò mai di te, che posso lottare
quanto voglio ma non ce la farò, che nella vita vincono i cattivi ed io sono
troppo debole per sconfiggerti, che mi posso contorcere anche fino a Natale ma
non verrà Dio a salvarmi perché tu se più
forte di chiunque altro, ed attorno a te si vengono a creare bozzi e
montagnole sanguinolente ed io soffro, soffro…
Ora basta.
Io sono più forte.
Ghostbuster mi fa un baffo.
Infilo guanti in lattice. Occhialini protettivi. Grembiule
senza maniche. Hai i minuti contati, caro mio.
Srotolo l’arsenale. Accanto a kalashnikov, berette, bombe a
mano, scelgo la Schiuma Da Barba Proraso
ed una lametta Gillette Venus.
Alzo il braccio con uno spasmo dolorante. Cerco la posizione
più congeniale, ed urlo È finita!
Ed attacco quell’unico pelo nell’incavo dell’ascella che non
se ne viene mai via.
Inutilmente.
martedì 2 agosto 2016
#GMG16
Ciao mondo!
Se vi può interessare, ecco il link del mio ultimo articolo su La Voce Del Trentino, dedicato alla mia esperienza a Cracovia per la GMG 2016:
http://www.lavocedeltrentino.it/2016/08/02/portiamo-la-pace-nel-mondo-gmg16-krakow-viaggio-ti-cambia-la-vita/
Spero vi piaccia! Un bacione!
Ivy
giovedì 9 giugno 2016
8
Ciao a tutti miei cari lettori!
Vi ho sconvolti un pochino tornando senza nemmeno una riga di saluti, eh? Ma il post precedente, capitemi, è stato scritto di getto... Perché, come avrete intuito, si è chiuso un portone nella mia esistenza. La vita va avanti comunque, e tra me e l'estate c'è un esame di m... da superare. (Ovviamente voi sapete cosa sta al posto dei puntini...)
Ergo, prevedo già di assentarmi per altri 3 mesi: o forse no, chi può dirlo. Mi dispiacerebbe abbandonarvi di nuovo, quindi farò il possibili perché ciò non accada.
Nel mentre, vi posto un racconto che purtroppo non è risultato vincitore in un concorso al quale ho recentemente partecipato... Beh. Nella vita si vince e si perde, ed è sempre meglio vincere, ma quando si perde almeno posso postarvi qualcosa di nuovo :P
Buona lettura!
Vi ho sconvolti un pochino tornando senza nemmeno una riga di saluti, eh? Ma il post precedente, capitemi, è stato scritto di getto... Perché, come avrete intuito, si è chiuso un portone nella mia esistenza. La vita va avanti comunque, e tra me e l'estate c'è un esame di m... da superare. (Ovviamente voi sapete cosa sta al posto dei puntini...)
Ergo, prevedo già di assentarmi per altri 3 mesi: o forse no, chi può dirlo. Mi dispiacerebbe abbandonarvi di nuovo, quindi farò il possibili perché ciò non accada.
Nel mentre, vi posto un racconto che purtroppo non è risultato vincitore in un concorso al quale ho recentemente partecipato... Beh. Nella vita si vince e si perde, ed è sempre meglio vincere, ma quando si perde almeno posso postarvi qualcosa di nuovo :P
Buona lettura!
Ottavia era una studentessa. Un po’ pigra, un po’ distratta,
molto addormentata e molto vogliosa di uscire dalle quattro mura scolastiche
per andare a spasso con gli amici, che nascondeva però un’indole per una
materia in particolare: nel suo caso, la matematica. Già il suo nome, Ottavia,
rimandava ad un numero, l’8, che per lei era il migliore in assoluto; secondo
lei racchiudeva in sé tutta la perfezione, le filosofie e le regole matematiche
assieme, e non si faceva sfuggire mai l’occasione per ribadirlo con chiunque.
Il giorno che fa da cornice a questo racconto fu un’altra
occasione.
Suonata finalmente la campanella ed uscita dall’Inferno
Dantesco, c’era il suo ragazzo ad attenderla. I due camminarono per un po’, parlarono
del più e del meno, poi si sedettero in un bar, l’Eighty-Eight.
“Questa tua fissazione per il numero otto è quasi maniacale”
commentò Roberto, succhiando dalla cannuccia un frappè al cioccolato fondente e
cocco.
“È perché tu non ti soffermi abbastanza sulla cosa!” La
ragazza, con davanti un frappè alla fragola e panna, risucchiò rumorosamente il
fondo, facendo girare un anziano signore dall’aria infastidita.
“Su cosa dovrei soffermarmi scusa?”
“Allora, tanto per cominciare: che giorno ci siamo
incontrati per la prima volta?”
“Era… uhm… il…”
Ottavia sbuffò. “Mesi e mesi assieme, e non sai nemmeno
quando ci siamo incontrati! Te lo dico io: il 18 agosto. Ed agosto è l’ottavo
mese dell’anno.”
“Coincidenze? Io non credo.” Rispose lui, citando un famoso
programma televisivo. Iniziò a sua volta a risucchiare il fondo del bicchiere:
l’anziano si lamentò con la cameriera. Questa, essendo amica di Ottavia, lo
calmò bonariamente e se ne andò, facendo l’occhiolino alla coppia.
“Ma quali coincidenze!” continuò Ottavia. “Coi numeri non si
scherza! E quando ci siamo messi assieme? Questo te lo ricordi?” Intanto prese
dalla borsa una penna ed iniziò a disegnare sul tovagliolino del bar. Al centro
pose un enorme 8, e collegò ad esso la scritta ’18 agosto’.
“Ma certo che me lo ricordo.” Addolcendosi, Roberto le prese
la mano, sfiorandole le nocche. “8 ottobre.”
“8! Visto?”
Il ragazzo sbuffò. “E chi me lo dice che non lo hai fatto
apposta?”
“Ma se sei stato TU a chiedermi di metterci assieme!”
“Magari mi hai stregato.” Le baciò la mano, ridendo. Lei
arrossì, poi si ricompose.
“Non mi distrarrai così, caro mio! Che mi dici delle
mosche?”
“Intendi dire che il numero 8 ha effetto anche sulle
mosche?”
“Eh, certo. Le mosche sono convinte che il numero 8 sia una
ragnatela, dunque la evitano per non rimanere attaccate.” Nel frattempo Ottavia
addentò una brioches alla marmellata di mirtilli. Mugolò di piacere. Aggiunse
allo schema ‘8 ottobre’ e ‘mosche’.
“Appunto. E ti sembra positiva la cosa?” Roberto tentò di
rubarle un morso, ma Ottavia scansò il cornetto, facendo in modo che il giovane
si mordesse la lingua. “Ahia!” piagnucolò.
Lei gli scoccò un bacio sulla guancia. “Si, mi pare
positivo” rispose, “perché così non entrano mosche in casa!”
“A me pare una cavolata.”
“Bene, allora ti faccio un altro esempio: la clessidra. Hai
mai notato che è simile ad un 8? Persino il tempo è governato da questo numero!
E che dire del quadrifoglio, che è formato da due 8 incrociati?” Pose sul
tovagliolo il disegno di un quadrifoglio ed uno di una clessidra.
“E quindi anche la fortuna è in mano ad un 8?” Roberto si
alzò, portafogli alla mano.
“SI!” urlò lei. Qualcuno si girò, spaventato dal suo grido.
Ottavia, imbarazzata, s’alzò a sua volta, spolverandosi i jeans. “Beh, si,
anche la fortuna. Sarà bendata con degli occhiali a forma di 8.” Concluse
l’opera d’arte con una donna con gli occhiali. Piegò il tovagliolo e lo pose
nella tasca dei jeans del ragazzo. Roberto protese la mano per prendere il conto,
ma Ottavia fu più veloce: lo lesse e rise.
“Visto? 8 euro!”
“Dammelo!” Le strappò di mano il foglietto. Poi socchiuse
gli occhi e la fissò. “Tu hai cospirato con la cameriera!”
“Assolutamente no!” rispose lei alzando le mani.
Dopo che pagarono, Ottavia s’appese al suo braccio. “Noi
siamo legati da un 8. E l’8, visto al contrario, è simile ad un infinito.”
“Non starai per esordire con un discorso simile alle
ragazzine che si fanno i selfie nei bagni e postano le foto su Facebook, vero?”
sbuffò lui.
“No. O meglio, non proprio. Secondo me, il simbolo
dell’infinito è diventato popolare perché qualcuno ha avuto la geniale
intuizione di sfruttare l’idea di qualcosa che non finisce mai. Perfetta per
una coppia o per un’amicizia, certo, ma a me piace per un altro motivo.”
“Ah, si? Quale?”
Ottavia si fermò. Tirò fuori dalla T-shirt una catenina,
alla quale era appeso un ciondolo col simbolo in questione. Lo pose davanti
agli occhi di Roberto e disse: “Vedi come è formato? Non è solo una linea che
non termina mai, altrimenti saremmo tutti ad osannare gli 0, i cerchi, le O.
No, questo in mezzo s’incrocia. Ecco, io credo che il nostro legame sia così.
Non solo come una linea che non ha inizio né fine, ma anche come un incrocio
che lega due vuoti. Prima di te ero vuota. Ora sono legata a te.”
I due giovani si baciarono. Poi camminarono mano nella mano,
ognuno perso nei suoi pensieri. Alla fine Ottavia ruppe il silenzio.
“Stasera cinema?”
“Va bene,” rispose lui. “Ma cosa?”
Ottavia fece un sorrisetto cospiratore. “L’ultimo di
Tarantino… The Hateful Eight!”
Spero non vi sia sembrato troppo paradossale. Io mi sono divertita a scriverlo!
A presto, ne sono certa,
Ivy
PS: si, purtroppo mi sono accorta di aver saltato il 4° compleanno di Fairy Tales :( I'm sorry! Ed auguri a NOI!
PS: si, purtroppo mi sono accorta di aver saltato il 4° compleanno di Fairy Tales :( I'm sorry! Ed auguri a NOI!
Dove sono?
Trento, Italia
martedì 7 giugno 2016
Last Day Ever
Ciao caro vecchio Prati,
Ho voglia di parlare con te. Sai che sono una persona egocentrica e menefreghista, quindi non m'importa cosa avranno da ridire gli altri: io ti scrivo.
Cinque anni fa ho varcato questa tua porta convinta della mia scelta. Non ho nemmeno guardato gli altri posti: hai subito avuto qualcosa che m'ha attirato come una calamita, che mi ha fatto dire "qui è dove voglio stare".
E caspita, me ne sono pentita più volte! A partire dal primo 4, che è stata una coltellata in pancia dopo i voti alti delle medie; passando alle tante verifiche con "troppa roba da studiare!", approdando a quelle versioni che ancora oggi proprio non capisco.
Ma credo che questo sia il più grande insegnamento che tu mi abbia donato: mi hai richiesto sempre il meglio, cosicché anche quando non sono riuscita a dartelo, sono stata comunque eccellente.Ho voglia di parlare con te. Sai che sono una persona egocentrica e menefreghista, quindi non m'importa cosa avranno da ridire gli altri: io ti scrivo.
Cinque anni fa ho varcato questa tua porta convinta della mia scelta. Non ho nemmeno guardato gli altri posti: hai subito avuto qualcosa che m'ha attirato come una calamita, che mi ha fatto dire "qui è dove voglio stare".
E caspita, me ne sono pentita più volte! A partire dal primo 4, che è stata una coltellata in pancia dopo i voti alti delle medie; passando alle tante verifiche con "troppa roba da studiare!", approdando a quelle versioni che ancora oggi proprio non capisco.
Se mi guardo alle spalle, vedo una persona totalmente diversa da quella che sono ora. Sono entrata da precisina, meticolosa, sempre elegante (o quasi), logorroica ma sulle mie, presuntuosa da far schifo. Ora ne esco maturata (non ancora scolasticamente, ma just details), con un occhio di riguardo ai bisogni altrui e le Converse ai piedi. Ma ancora presuntuosa. Ovviamente.
Mi hai insegnato a rendermi ridicola ed a mettermi in gioco, perché la vita è una sola, e del doman non v'è certezza quindi carpe diem. Mi hai insegnato che si può essere i migliori anche senza dimostrarlo, e che viceversa coloro che lo dimostrano forse non lo sono così tanto. Mi hai insegnato che ci sarà sempre qualcuno che tenterà di buttarmi giù, ma io sto coi piedi per terra e non mi arrendo, e che uno su mille ce la fa, ma se quell'uno si gira può aiutarne altri cento. Mi hai insegnato che ancora non so spiegarti il mio metodo di studio, ma l'ho acquisito giuro!, e che anche se credo di non sapere un tubo sono in grado di parlarti di un argomento per 10 minuti. Mi hai insegnato a dubitare anche di me stessa, che le tautologie non sono spiegazioni, che la cultura non è solo umanistica ma è anche scientifica, che "siamo un liceo classico!" ma non sembra. Mi hai insegnato che anche quando il momento sembra insuperabile basta guardare avanti e tutto diventa più semplice, e mi hai insegnato che anche quando non penseresti mai di riuscirci ce la farai. Sembra banale, ma mi hai anche insegnato i valori dell'amicizia, dell'amore, del rispetto, e per questo ringrazio tutte le persone che hai accolto nella tua grande famiglia. Ed uso volutamente questo termine, perché i parenti sono serpenti e non sempre si riescono ad amare.
Oggi, scendere quelle scale correndo con in mano un pacco di farina è stato catartico, così come lo è stato imprecare un'ultima volta contro il tuo schifoso sistema per entrare in Internet, contro quelle scale che non finiscono mai, contro la fila ai bagni delle ragazze, contro le vetrine dell'anno vattelapesca, contro i banchi e le sedie, contro le porte che non si chiudono se non le sbatti. Non sono riuscita a piangere, probabilmente stasera crollerò, ma ho sentito che era giusto così.
Vai, Prati, vai ad educare altri ragazzi alla vita. Tormentali, prosciugali, e poi masticali e risputali. Ma voglio vedere quanti non ne usciranno migliorati.
Grazie.
Silvia
giovedì 18 febbraio 2016
Il lavoro a maglia
Ciao Nonna,
hai visto da quanto tempo non entravo qui? Un'eternità. Mi sa che studio troppo.
Ci sono voluti tre giorni tra 38 di febbre, pseudo-placche alla gola, naso tappato, vomito, mal di testa e capogiri per darmi un po' di tempo per scrivere.
E già che c'ero, ho fatto anche altro.
No, non ho studiato ulteriormente, tranquilla. Temo che sia stata quella scuola a farmi ammalare, non mi sopporta più - vuole proprio che io me ne vada. Però si, ho letto, un libro che - off topic - consiglio a tutti: Istruzioni per rendersi infelici di Paul Watzlawick (lo ammetto... Ho googlato il nome alla cavolo e ho fatto copia-incolla di quello corretto, ma era difficile, su!). Davvero bello comunque.
Forse è anche merito di Watz, che mi ha dato una "spintarella" se ho fatto altro al posto di leggere e leggere e leggere, fino a stamane, ma soprattutto se ho deciso di scriverti di nuovo, qui, nel piccolo mondo dove le mie favole diventano realtà.
Ecco.
Ho ripreso la sciarpa, nonna. E l'ho finita.
Ricordi questa foto? Era il 25 ottobre 2009, il compleanno di mamma. In un raptus folle io e lei c'eravamo truccate a vicenda, e direi che ero ridotta alla grande! Ma non è questo il punto.
È uno dei ricordi più belli che ho del tempo che abbiamo passato assieme. Mi hai insegnato tu come lavorare coi ferri - dopo che abbiamo constatato che all'uncinetto e a punto a croce era meglio evitare, visto che non volevamo aprire un mutuo per pagare filo ingarbugliato.
In questa foto, come hai sempre fatto, mi osservavi con fare piuttosto attento, e qualora avessi combinato l'ennesimo macello eri pronta a salvare il povero, innocente lavoro capitato per sfortuna tra le mie mani.
Ah, quanti buchi e quanti punti saltati! Ed ogni volta disfare, ricucire, riprendere, talvolta rinunciare con un sospiro.
Dal 2009 ad oggi sono passati 7 anni. Sembrano pochi, eh? E invece sono un'eternità.
Tu te ne sei andata quasi quattro anni fa, eppure quel lavoro, proprio quello che faccio finta di ricamare nella foto, non l'ho mai finito. Almeno, non fino ad oggi.
Avevo giurato, quando sei salita in cielo, che lo avrei finito per te, e forse è questo che mi ha terrorizzata, come se quel filo quasi candido (diciamo che è un pochino sporco) fosse un cordone ombelicale che ci teneva unite, e finché avessi avuto con me, in fondo all'armadio, il nostro lavoro coi nostri ferri saremmo state ancora unite.
Mi sbagliavo. Non c'è modo migliore di onorarti del finire ciò che abbiamo iniziato assieme.
Eccola qui. Ti piace? Si, okay, non è super super bella. Ma racconta in un certo senso come sono cresciuta - guarda com'era stretta all'inizio, e come alla fine sia larga e più regolare!
Alla fine ho sentito la tua mancanza più che mai... Per chiudere il lavoro ho usato un tutorial su Youtube! Però anche questo è crescere, arrangiarsi e tener fede alla parola data.
Ne vado decisamente fiera.
Anzi, potrei persino dire che è una splendida metafora di vita. Questo filo, che ricorda molto le tre Parche che secondo i Greci tessevano la vita, continua ad essere attorcigliato attorno al ferro, ed ad ogni punto per lavorarlo si aggiunge un pezzetto di filo nuovo, finché giunti alla fine si ricuce il filo vecchio su se stesso e zac!, si taglia quel poco in eccesso. In mezzo ostacoli, come punti saltati, persi o mal lavorati, e qualora si volesse aggiungere un altro gomitolo, di un altro colore, si può anche unire la propria vita a quella di un altro.
Si, direi che sei riuscita ad insegnarmi più tu coi tuoi ferri che la scuola in più di 10 anni.
Dovrebbero re-introdurre il corso di cucito alle elementari. Forse cresceremmo tutti meglio.
Ora ti saluto nonna, vado in cerca di un medico. Prega per me, e controlla il mio lavoro. Ma non criticare troppo: ricorda che è stato fatto con amore.
Silvia
PS: Ne ho trovato un altro iniziato e mai finito. Anche qui mi ci vorresti tu, credo di averlo ripreso davvero male. Ma non m'importa più di tanto.
hai visto da quanto tempo non entravo qui? Un'eternità. Mi sa che studio troppo.
Ci sono voluti tre giorni tra 38 di febbre, pseudo-placche alla gola, naso tappato, vomito, mal di testa e capogiri per darmi un po' di tempo per scrivere.
E già che c'ero, ho fatto anche altro.
No, non ho studiato ulteriormente, tranquilla. Temo che sia stata quella scuola a farmi ammalare, non mi sopporta più - vuole proprio che io me ne vada. Però si, ho letto, un libro che - off topic - consiglio a tutti: Istruzioni per rendersi infelici di Paul Watzlawick (lo ammetto... Ho googlato il nome alla cavolo e ho fatto copia-incolla di quello corretto, ma era difficile, su!). Davvero bello comunque.
Forse è anche merito di Watz, che mi ha dato una "spintarella" se ho fatto altro al posto di leggere e leggere e leggere, fino a stamane, ma soprattutto se ho deciso di scriverti di nuovo, qui, nel piccolo mondo dove le mie favole diventano realtà.
Ecco.
Ho ripreso la sciarpa, nonna. E l'ho finita.
Ricordi questa foto? Era il 25 ottobre 2009, il compleanno di mamma. In un raptus folle io e lei c'eravamo truccate a vicenda, e direi che ero ridotta alla grande! Ma non è questo il punto.
È uno dei ricordi più belli che ho del tempo che abbiamo passato assieme. Mi hai insegnato tu come lavorare coi ferri - dopo che abbiamo constatato che all'uncinetto e a punto a croce era meglio evitare, visto che non volevamo aprire un mutuo per pagare filo ingarbugliato.
In questa foto, come hai sempre fatto, mi osservavi con fare piuttosto attento, e qualora avessi combinato l'ennesimo macello eri pronta a salvare il povero, innocente lavoro capitato per sfortuna tra le mie mani.
Ah, quanti buchi e quanti punti saltati! Ed ogni volta disfare, ricucire, riprendere, talvolta rinunciare con un sospiro.
Dal 2009 ad oggi sono passati 7 anni. Sembrano pochi, eh? E invece sono un'eternità.
Tu te ne sei andata quasi quattro anni fa, eppure quel lavoro, proprio quello che faccio finta di ricamare nella foto, non l'ho mai finito. Almeno, non fino ad oggi.
Avevo giurato, quando sei salita in cielo, che lo avrei finito per te, e forse è questo che mi ha terrorizzata, come se quel filo quasi candido (diciamo che è un pochino sporco) fosse un cordone ombelicale che ci teneva unite, e finché avessi avuto con me, in fondo all'armadio, il nostro lavoro coi nostri ferri saremmo state ancora unite.
Mi sbagliavo. Non c'è modo migliore di onorarti del finire ciò che abbiamo iniziato assieme.
Eccola qui. Ti piace? Si, okay, non è super super bella. Ma racconta in un certo senso come sono cresciuta - guarda com'era stretta all'inizio, e come alla fine sia larga e più regolare!
Alla fine ho sentito la tua mancanza più che mai... Per chiudere il lavoro ho usato un tutorial su Youtube! Però anche questo è crescere, arrangiarsi e tener fede alla parola data.
Ne vado decisamente fiera.
Anzi, potrei persino dire che è una splendida metafora di vita. Questo filo, che ricorda molto le tre Parche che secondo i Greci tessevano la vita, continua ad essere attorcigliato attorno al ferro, ed ad ogni punto per lavorarlo si aggiunge un pezzetto di filo nuovo, finché giunti alla fine si ricuce il filo vecchio su se stesso e zac!, si taglia quel poco in eccesso. In mezzo ostacoli, come punti saltati, persi o mal lavorati, e qualora si volesse aggiungere un altro gomitolo, di un altro colore, si può anche unire la propria vita a quella di un altro.
Si, direi che sei riuscita ad insegnarmi più tu coi tuoi ferri che la scuola in più di 10 anni.
Dovrebbero re-introdurre il corso di cucito alle elementari. Forse cresceremmo tutti meglio.
Ora ti saluto nonna, vado in cerca di un medico. Prega per me, e controlla il mio lavoro. Ma non criticare troppo: ricorda che è stato fatto con amore.
Silvia
PS: Ne ho trovato un altro iniziato e mai finito. Anche qui mi ci vorresti tu, credo di averlo ripreso davvero male. Ma non m'importa più di tanto.
Dove sono?
Trento, Italia
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